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    Spade di ferro giorno 21. L’ingresso a Gaza e i voti all’Onu

    Operazioni estese

    Nella notte fra venerdì e sabato, esattamente a tre settimane dal massacro terrorista che ha dato inizio alla guerra, l’esercito israeliano ha “esteso le proprie operazioni all’interno di Gaza”, come si è espresso il portavoce militare. Non è forse ancora la grande spedizione terrestre che tutti attendono, ma è un’operazione molto più complessa, potente e articolata delle incursioni precedenti. Notevoli forze corazzate e di fanteria sono penetrate oltre la barriera di divisione da due direzioni: a nord della Striscia in direzione di Beit Lahaya e Beit Hanoun, e al centro verso Jabalyia, già nel territorio di Gaza City. Contemporaneamente l’aviazione ha intensificato il suo lavoro più che mai, colpendo fra l’altro più di 150 obiettivi sotterranei, cioè galleria d’attacco dei terroristi, nella zona nord della Striscia e la marina ha martellato istallazioni portuali e depositi di armi sulla costa. Si tratta di un coordinamento notevole e certamente non facile perché resta sempre il rischio di un errore che coinvolga le truppe di terra, ma disorienta i nemici ed ha grande efficacia operativa. Sono centinaia i terroristi fuori combattimento.  L’incursione è durata per tutta la giornata di Shabbat e  continua ancora. È impossibile dire se si tratta dell’inizio progressivo della grande operazione di terra, come sembra, o solo di un assaggio delle difese dei terroristi, che si svolge in varie posizioni, allo scopo di creare uno schermo di incertezza per quando e dove vi sarà l’ingresso in massa. Certamente, come ha detto il ministro della difesa Gallant, è “una nuova fase della guerra”.

     

    Internet bloccato

    L’incertezza è anche aumentata dal fatto che l’aviazione israeliana ha eliminato l’operatività di tutti i fornitori di connettività telefonica e di internet a Gaza. I soli cellulari che funzionano a Gaza sono i satellitari e quelli che riescono a collegarsi ai provider israeliani, ammesso che questi accettino il collegamento. Ci sono anche gli egiziani, che hanno dichiarato di voler allestire antenne al loro confine di Rafah, le quali però difficilmente potranno servire per la zona dei combattimenti che si trova all’altra estremità di Gaza. Di questo blocco delle comunicazioni si sono molto lamentati i giornalisti (in particolare i corrispondenti stranieri)  e anche la “mezzaluna rossa” che dovrebbe occuparsi dei soccorsi ai feriti di guerra, e di fatto è agli ordini di Hamas. Ma l’esclusione delle comunicazioni non è certamente di una scelta ai danni di giornalisti e medici, bensì un obiettivo tipicamente militare: l’interruzione dei collegamenti fra i centri di direzione delle forze terroriste e le loro squadre sul campo. Il portavoce militare ha pubblicato venerdì molte prove sul fatto che il centro di comando dei terroristi è nascosto nei sotterranei dell’ospedale principale di Gaza: una collocazione che rende molto difficile colpirlo, ma che lo rende assai dipendente da collegamenti telematici con l’esterno. È probabile che le linee telefoniche nelle gallerie funzionino ancora almeno in parte, perché realizzate su filo; ma i contatti con i punti di avvistamento e i gruppi terroristici in superficie sono stati certamente bloccati, il che significa che le informazioni destinate ai comandi e i loro ordini saranno recapitati assai più lentamente e con difficoltà, con mezzi tradizionali: un vantaggio decisivo per l’esercito israeliano.

     

    La situazione internazionale

    La prudenza di un ingresso progressivo dell’esercito israeliano nella Striscia, invece di un’operazione frontale immediata, risponde a esigenze tattiche, ma anche alla consapevolezza di una situazione internazionale molto difficile. Grandi manifestazioni di “solidarietà con Gaza” (cioè di fatto con Hamas) si sono succedute a Londra come a Istanbul, in Francia come in Malesia – e ce n’è state anche a Roma. L’Arabia Saudita ha emesso un comunicato per condannare preventivamente l’operazione di terra. L’Iran ha proseguito con le minacce contro Israele e le ha rese più concrete con nuovi tiri provenienti dal Libano e anche dallo Yemen (ma i missili o droni sono finiti in Egitto). Ha anche mandato nuovi rifornimenti di missili a Hezbollah, usando a quanto pare aeroporti siriani sotto il controllo della Russia, dopo che Israele ha posto fuori servizio quelli di Damasco e Aleppo – il che sottolinea la posizione filoterrorista di Mosca. L’interrogativo più pressante è se gli ayatollah spenderanno la loro risorsa militare più minacciosa per Israele, cioè proprio Hezbollah, che dispone a quanto pare di 200 mila razzi (venti volte più di quelli sparati finora da Gaza e assai più precisi) e di truppe ben preparate. Questa forza però è anche la ragione che rende difficile il suo uso: se Hezbollah entrasse in guerra, farebbe certamente grandi danni; ma Israele ha mezzi ben più massicci di quelli usati a Gaza e di fronte a una minaccia del genere si sentirebbe autorizzato a usarli, distruggendo a tutti i costi il movimento sciita e probabilmente danneggiando gravemente anche il Libano che esso in sostanza domina; anche gli Usa potrebbero intervenire, almeno secondo gli ammonimenti di Biden. L’Iran in questo caso, persi i suoi esecutori nella regione, dovrebbe intraprendere una guerra molto pericolosa o accettare un ridimensionamento militare che non resterebbe senza conseguenze politiche interne.

     

    L’Assemblea Generale dell’Onu

    Un altro fronte aperto è la diplomazia internazionale: l’Assemblea Generale dell’Onu ha espresso due voti in cui Israele è stato sconfitto, anche se con schieramenti però molto più equilibrati del solito. Una prima votazione ha visto una maggioranza di stati condannare il massacro del 7 ottobre, ma senza raggiungere i due terzi dei voti necessari per rendere valida la mozione. A favore ha votato tutta l’Unione Europea, gli Usa, l’India, parecchi stati americani, l’Ucraina, il Brasile, il Canada, l’Australia, l’Armenia. Contrari tutti gli stati arabi e musulmani, la Russia, la Turchia, la Cina, Cuba. Il risultato è stato di 88 favorevoli, 55 contrari, 23 astenuti. Questa votazione riguardava un emendamento a una delibera “pacifista” che richiedeva un cessate il fuoco immediato (cioè in sostanza la sopravvivenza di Hamas e del terrorismo a Gaza). Essa è stata invece approvata con 120 voti favorevoli, 14 contrari e 45 astensioni. I contrari all’emendamento contro Hamas hanno naturalmente votato sì alla mozione “pacifista” che favorisce Hamas, ad essi si sono aggiunti alcuni stati europei come Francia, Spagna, Irlanda, Belgio; la maggior parte degli altri fra cui l’Italia si sono astenuti. Insomma ancora una volta sul fronte della politica internazionale la condanna del terrorismo non è chiara.

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