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    ROMA EBRAICA

    In ricordo di Rav Didi, il rabbino che sapeva accarezzare l’anima

    In coincidenza con l’anniversario degli undici mesi dalla sua dipartita, è doveroso ricordare rav Emanuel Didi z’l’, rabbino che ha influenzato molti ebrei a Roma.
    Rav Emanuel Didi zl, che tutti chiamavano rav Didi, è nato a Djerba il 27 ottobre 1942. All’epoca la comunità gerbina era fiorente e gli studi religiosi erano condotti ai massimi livelli. I bambini studiavano con molto impegno le materie ebraiche sin dalla tenera età, tanto che arrivati al bar mizva era naturale che tutti sapessero recitare a memoria l’intero Sefer Torà, inclusi i teamim, i segni del canto.
    In questo ambiente religioso così competitivo rav Didi eccelleva per il livello e la profondità dei suoi studi. Conosceva a memoria non solo la Torà, ma aveva una conoscenza ai massimi livelli di Gmarà e Alachà. Tendeva a minimizzare la sua erudizione unica, non se ne vantava mai; anzi, per pudore la nascondeva.
    Nel 1958, per proseguire la sua carriera di studi ai massimi livelli, rav Didi si reca a Brunoy in Francia, dove frequenta la grande Yeshivà Tomchei Temimim, fondata e gestita dal Rebbe di Chabad. A Brunoy consegue la Rabbanut, e in quella Yeshivà il suo destino si incrocia con quello di un altro grande rabbino caro a noi ebrei romani, rav Eliahu Ouazana z’l’; i due si conoscono e stringono rapporti amichevoli, che saranno fondamentali per il suo successivo approdo a Roma. Si può affermare che due rabbini importanti per la storia moderna dell’ebraismo romano, e cioè rav Didi e rav Ouazana, sono arrivati a Roma grazie alla benedizione del Rebbe di Chabad; ma questa è un’altra storia.
    Nel 1962 Rav Didi torna a Djerba, dove acquisisce le conoscenze di Shochet e di insegnante. Nel 1964 riparte da Djerba con l’intenzione di stabilirsi definitivamente in Francia, come stavano facendo tanti suoi connazionali angosciati per il futuro della minoranza ebraica in Tunisia. Il viaggio prevedeva una sosta di breve durata a Roma, città che invece era destinata a divenire la sua nuova casa. A Roma infatti rav Didi, invitato a rimanere da rav Toaff che lo aveva conosciuto e aveva avuto modo di apprezzarne le qualità, si stabilisce per diventare Shochet nella città, ruolo che ricoprirà per tanti anni, fino al 1982. A Roma stringe rapporti di affetto con tanti ebrei, in particolare ma non solo con quelli di origine libica, a lui affini per mentalità e cultura.
    Quale è stata la sua grandezza, la sua peculiarità? Rav Didi spiazzava con il modo amorevole e naturale col quale veniva incontro a tutti, specialmente a chi era lontano dalla religione, non era mai rigido; ti accoglieva con quel suo sorriso dolce e umile che ti avvolgeva, ti accarezzava l’anima. Capiva al volo il livello di preparazione di chi aveva di fronte, e rispondeva adeguandosi all’interlocutore. Sapeva farsi grande o piccolo, a seconda della persona con cui parlava. Ma le sue attenzioni speciali erano per noi, ovvero per gli ebrei “piccolissimi”, a cui si accostava affabile, con amore e comprensione. Ci parlava con dolcezza, non dicendo mai “hai sbagliato”, senza mai accusare né riprendere, sempre accompagnando, risvegliava il desiderio, il bisogno del ritorno alla Legge. Questa era la sua cifra di umiltà e umanità.
    Dal 1996 al 2002 circa, ha tenuto lezioni al Beth Shmuel a Via Garfagnana, il Tempio che fu di Shmuel Naman z’l’, e che oggi porta il suo nome; lezioni frequentate con assiduità da molti, finché non ebbe a interromperle per problemi di salute. Fu anche uno dei più convinti promotori della sinagoga estiva ad Anzio: dopo tanti anni di preghiere a Nettuno a casa di Arnaldo e Guglielmo Sabbadini z’l’, per più di 20 anni le tefillot d’estate si tennero a casa di Rav Didi, che era sempre pronto ad accogliere tutti durante quei fantastici e indimenticabili Shabbatot, e il finale era un ricco e buonissimo aperitivo, chiacchiere amabili, parole di Torà, con il suo esempio e la sua benedizione vicina, la sentivi attorno a te, dentro di te. In quegli anni la casa di rav Didi è stata la Slà, il Tempio di Anzio. Per definizione.
    Rav Didi era spesso e insistentemente chiamato a dare giudizio nelle dispute tra correligionari, vedevano in lui una persona giusta e non influenzabile. Giudicava in maniera retta e imparziale il ricco così come il povero, aveva un peso solo, come prescritto nel Pirkè Avot.
    Rav Didi non ha mai parlato male di nessuno, neanche con lo sguardo. Mai.
    Era pronto a mettere in secondo piano l’interesse economico proprio e addirittura quello dei propri figli – chi lo riesce a fare, questo? – solo se percepiva che il rischio di ledere gli interessi del prossimo; per lui le vicende umane dovevano essere sempre condotte tutelando anzitutto gli altri, e poi se stessi e i propri cari.
    Il nostro rav Didi ha avuto una vita con dei periodi difficili, che ha sempre accettato con umiltà, diceva ‘meglio questo che altro’, prendeva la vita con ‘khen’, con il modo dei giusti; accoglieva le prove più dure col sorriso perché tutto ciò che viene da H è benedizione di H, e può essere solo il Bene.
    Nel lavoro ha aiutato innumerevoli persone, c’è chi testimonia di aver potuto iniziare la propria carriera lavorativa grazie alla sua garanzia, e c’è chi riferisce di aver avuto salvo il proprio lavoro grazie a rav Didi che ha garantito personalmente per lui.
    Rav Didi ha lasciato questo mondo il 16 yiar 5783, 7 maggio 2023, in Israele; la farfalla bianca è volata via, in cielo.
    Che il suo ricordo sia di benedizione per tutto Am Israel e specialmente per tutti gli ebrei di Roma, che lui ha tanto amato e benedetto in vita.

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