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    ANCORA MISSILI SU ISRAELE, MA HAMAS STA PERDENDO LA GUERRA

    Le guerre contemporanee, in particolare le guerre che sono chiamate “asimmetriche” perché si svolgono fra uno stato e un’entità non statale (un gruppo terroristico, un “partito combattente”, una formazione di guerriglia), si svolgono sempre contemporaneamente su due piani: quello militare e quello politico, cioè propagandistico, comunicativo, diplomatico, legale. Questo vale anche nel conflitto di Gaza. Benché Hamas risponda meglio dell’Autorità Palestinese ai requisiti classici dello Stato, avendo un territorio e una popolazione precisa che controlla, esso si comporta solo come un gruppo terrorista: non difende la sua popolazione ma la usa per nascondersi (“come un pesce nell’acqua, diceva Mao Tsedong), non obbedisce alla legalità internazionale sui prigionieri di guerra, attacca esclusivamente i civili, evita se possibile il confronto con l’esercito nemico, usando la fuga, la dispersione fra la popolazione civile, il travestimento. Questo modo di essere clandestino, sotterraneo, complottistico gli rende impossibile una vittoria militare ma fa anche sì che eliminarlo sia molto difficile. La tecnica moderna lo favorisce molto, dando la possibilità di usare come armi droni facili da costruire e  razzi che costano poco, si nascondono e si trasportano facilmente e possono venir costruiti con materiali civili come fertilizzanti per il propellente, tubi idraulici per il corpo del missile, componenti dei telefoni cellulari per la guida. I terroristi li sparano e poi subito si nascondono in mezzo alla gente normale; anzi in genere li tirano stando in luoghi protetti da scudi umani come case d’abitazione, moschee, ospedali. Solo la popolazione di Gaza sarebbe in grado di eliminarli, ma non ne ha il coraggio e probabilmente non vuole, avendo introiettato il loro lavaggio del cervello ideologico e religioso.
    Una guerra così si combatte dunque sul piano militare e su quello politico. Al livello militare Israele sta vincendo alla grande: Iron Dome tiene bene le salve dei missili da Gaza, l’aviazione e l’artiglieria israeliana sta smontando sistematicamente l’apparato militare terrorista, anche se non è ancora possibile eliminare i lanci dei razzi, ben nascosti in mille posti sottoterra e fra i civili. Se ci fosse un’opposizione a Gaza che volesse cambiare politica  rispetto ad Hamas, questo sarebbe il momento di tentare un 25 luglio. Ma evidentemente nessuno ha la voglia o il coraggio di provarci. Se l’esercito israeliano avrà il tempo sufficiente, distruggerà completamente le armi di Hamas e le fabbriche che le producono e decimerà i suoi quadri. Passeranno allora parecchi anni prima che si ripresenti una crisi analoga. Ma non bisogna farsi illusioni, finché i terroristi governeranno Gaza, il loro scopo resterà la distruzione di Israele e ci riproveranno come hanno già fatto nel 2014, nel 2008 e in altre occasioni minori
    Sul piano politico, Hamas ha già ottenuto alcuni obiettivi. Ha riportato il progetto palestinista sulla prima pagina dei giornali di tutto il mondo, ha confermato la convinzione della popolazione araba di Giudea e Samaria che solo loro si oppongono a Israele, eclissando completamente Mohamed Abbas, ha avuto espressioni di solidarietà e promesse di aiuto da mezzo mondo islamico, Erdogan in testa, e dalla sinistra internazionale a partire da quella di parti del partito democratico americano e dai laburisti inglesi. Tante belle parole, qualche manifestazione, qualcuno addirittura che dal Libano e dalla Siria ha provato a lanciare razzi su Israele e anche a violarne i confini.
    Ma i governi, anche quelli del “fronte della resistenza”, hanno bloccato gli sconfinamenti e fatto capire chiaramente che i missili su Israele non li hanno spediti loro e non se ne assumono la responsabilità. Le manifestazioni nelle piazze europee sono state tutt’altro che oceaniche, anche perché orribilmente antisemite. L’amministrazione Biden non ha seguito la linea violentemente antisionista di Warren, di Sanders, di Ocasio-Cortez e di qualche sciagurato gruppo di ebrei “progressisti”, ma ha riaffermato prudentemente la tradizionale amicizia americana per Israele, rifiutando i razzi sparati a freddo sulla popolazione civile, anche se sta lesinando a Israele i rifornimenti militari, compresi i vitali proiettili di Iron Dome: un politica di ricatto che ha una lunga storia. Perfino in Europa, dove l’antipatia per Israele è diffusa fra gli eurocrati e i governi, la bandiera israeliana è stata issata in segno di solidarietà, sulla sede del governo austriaco e di quello ceco, come del partito di governo tedesco. Il meglio che Hamas ha ricevuto è il “duepartismo”: siamo solidari con questi e anche con quelli, no ai razzi e anche ai bombardamenti. In questa posizione si è esibita anche una parte della sinistra italiana, a partire da Letta.
    Soprattutto non è avvenuto quel contro-rovesciamento delle alleanze nel mondo arabo che il “fronte della resistenza”, Iran in testa, sperava. Molti governi si sono limitati a dichiarazioni di circostanza di solidarietà coi palestinesi, senza muoversi concretamente. L’Egitto ha mandato delle ambulanze, gli Emirati Arabi hanno comunicato a Hamas che se voleva continuare a sparare addosso ai civili israeliani non avrebbe avuto gli investimenti economici promessi, l’Arabia ha parlato in maniera molto generica.
    Se questo assalto a freddo doveva essere, nelle intenzioni dell’Iran (che controlla completamente le mosse di Hamas), la prova generale di un attacco più massiccio da parte di Hezbollah, esso ha fallito la prova sia sul piano militare che su quello politico. Ora, come in tutte queste operazioni, la discussione si sposta sulle proposte di cessate il fuoco. I benpensanti della sinistra, anche in Italia, chiedono una tregua subito, non per difendere i cittadini israeliani innocenti bombardati da Hamas, ma per consolidare una specie di parità fra Israele e i terroristi. Anche potenze regionali come l’Egitto puntano in questa direzione, ma soprattutto per valorizzare il loro ruolo di mediazione. Ma Hamas, se non è ridotto alla disperazione, non può accettare un accordo che sappia di resa. Deve continuare fino all’ultimo a cercare il colpo grosso. L’esercito israeliano dice che ha bisogno di qualche giorno per finire lo smantellamento dell’apparto di Hamas, per impedire che ricomincino subito. Da quando e come si concluderanno i combattimenti dipenderà non tanto l’esito di questa guerra, quanto la sua percezione, cioè il suo senso politico.
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