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    La nuova galleria di arte ebraica al Museum of Fine Arts di Boston. Intervista alla curatrice Simona Di Nepi

    Il Museum of Fine Arts di Boston oltre dieci anni fa è stato uno dei primi musei americani a interessarsi all’arte cerimoniale ebraica. Tuttavia, è negli ultimissimi anni che questo sforzo è stato potenziato, e oggi tra le sue ricchissime gallerie è possibile ammirare numerosi pezzi ebraici in dialogo con oggetti e dipinti realizzati nello stesso periodo e nelle stesse regioni, per raccontare le relazioni tra artisti, luoghi e stili. È così che con sorpresa si può osservare una khanukkià non molto distante da una scultura di Alberto Giacometti (Walking Woman, 1934) e importanti oggetti sinagogali in argento tra le nature morte olandesi e gli arredi inglesi. Da poche settimane il museo ha inaugurato la sua prima galleria ebraica, che raccoglie in gran parte nuove acquisizioni,come una starordinaria Tass (scudo per la Torà) in oro e argento incisa e sbalzata nel 1781–1782 da Elimelekh Tzoref. Shalom ha incontrato la curatrice della galleria, Simona Di Nepi – Charles and Lynn Schusterman Curator of Judaica – che grazie al suo lavoro e alle sue nuove acquisizioni ha reso possibile questo progetto.

    Cosa rappresenta l’apertura di questa galleria?

    La galleria è il culmine di un lavoro più vasto di sei anni cominciatoquando ho iniziato al Museum of Fine Arts di Boston.A livello di contenuto si tratta di arte cerimoniale ebraica (Judaica): oggetti di uso religioso sia nell’ambiente domestico che in quello sinagogale con una grande varietà sia a livello cronologico, di geografia e di materiali. Dal punto di vista cronologico si parte dal pezzo più antico, che è una fascia della Torà italiana, della fine 500 inzio del ‘600, fino all’arte contemporanea. Peril Museo, per il direttore e per me arrivare ai nostri giorni permette di raccontare come l’arte ebraica sia viva nel suo uso, e di dimostrare quanto gli artisti ebrei e non ebrei siano ancora occupati a rinnovarla.

    Cosa possiamo trovare nei nuovi spazi?

    Nella galleria ci sono 27 oggetti, di cui la gran maggioranza sono nuove acquisizioni (21 delle 45 da me effettuate), e altri pezzi che sono esposti per la prima volta. Questi sono forse la parte più emozionante, quelli che chiamo le riscoperte. Quando ho iniziato il lavoro per costruire una collezione di arte ebraica ho cominciato a cercare nelle raccolte del museo, uno dei più importanti al mondo con oltre 500.000 oggetti d’arte, divise in dipartimenti che seguono geografie e materiali. Il primo dipartimento interessato èstato quello dei tessili dove, tra i tessuti non identificati, horiscopertola fascia per la Torà della fine del ‘500 e un tallit katandi seta del 700, entrati nella collezione museale rispettivamente nel 1895 e nel 1938, e mai esposti, né considerati come oggetti ebraici.

    In generale, nella nuova galleria oltre ai tessuti c’è una grande varietà di materiali dagli argenti ai libri fino a elementi di arredo sinagogale, provenienti da quattro continenti. Si va dall’Asia con pezzi che arrivano dall’India, Iran, Iraq, Yemen e Israele al Nord Africa: per esempio sono esposti dei Rimonim marocchini che contengono chiari elementi dell’architettura Ispano-Islamica. Anche l’Europa è ben rappresentata con testimonianze dalla Germania, dall’Austria, dall’Inghilterra, dall’Italia. E ovviamente dagli Stati Uniti.

    Quello del rapporto con il territorio è un aspetto interessante.

    La presenza americana c’è ed è importante. È fondamentalericordare che nella ricerca di uno spazio disponibile all’interno del museo la scelta è ricaduta (per tre anni) all’interno della grande area dedicata all’arte americana che occupa tre piani.

    Nella galleria è collocato un Aron Ha-qodesh (armadio per laTorà) acquisito attraverso una donazione nel 2023 e che da senso allo spazio e ne diventa il punto focale. Arriva da Chelsea,una cittadina dentro Boston, che insieme al Lower East Side di New York era a più alta concentrazione ebraica all’epoca dell’immigrazione dall’Est Europa, tra il 1887 e il 1920, tanto da essere chiamata ‘Little Jerusalem’. Questo Aron, bello ma modesto, è stato realizzato intorno al 1920 da Samuel Katz, un artistafalegname che proveniva da una cittadina polacca (moderna Ucraina) dell’Impero Austro-Ungarico. A lui si rivolgeva tutto il Massachusetts – si dice ne abbia realizzati almeno ventiquattro – e quattro di questi sopravvivono in situ,di cui due dei più maestosi sono ora in altrettante chiese.

    È la storia di molti artisti che trovarono una nuova vita in America. Penso per esempio anche al dipinto di Jacob Binder esposto nella Galleria…

    È un quadro dipinto nel 1919 e rappresenta un talmudista dell’Est Europa entrato nel museo nel 1925, l’unico esempio che io conosca di un’opera volutamente comprata dalla comunità ebraica di Boston per dare una rappresentazione ebraica nel museo dopouno scandalo avvenuto a Boston, ma con ripercussioni a livello nazionale. Infatti, John Singer Sargent, uno dei pittori americani più amati, fece un ciclo di affreschi nella Public Library di Boston intitolato ‘il trionfo della religione, con le personificazioni di Ecllesia, e Sinagoga. La prima è una figura maestosta sul trono,mentre la sinagoga, come nella tradizione medievale antiebraica, è rappresentata bendata, umiliata e con lo scettro e la corona rotta.

    Quando la comunità ebraica di Boston vide questa rappresentazione decise, attraverso una campagna lanciata dal giornale il Jewish Advocate, di donare un’opera che potesse rappresentare il mondo ebraico in maniera dignitosa.

    Oltre alle opere ci sono anche degli strumenti multimediali che accompagnano il visitatore.

    Abbiamo prodotto un documentario sulla storia dell’Aron (Rescuing the Orange Street Torah Ark: A Story of Jewish Chelsea), con un’intervista al rabbino che lo ha salvato nel 1999 quando la sinagoga ha chiuso, e scovando anche persone cresciute in quella comunità. Ho poi creato una playlist musicale su spotify con l’intenzione di dare voce e suono agli oggeti in galleria, e soprattutto alla diversità ebraica che rappresentano: dalla musica tradizionale irachena, a Barbra Streisand con Avinu malkeinu, passando per un pezzo yemenita di Ofra Haza.

    E poi c’è Roma.

    Sono molto grata al Museo Ebraico di Roma perché ha accolto con entusiasmola mia richiesta di proporre ai visitatori un filmato, già parte del percorso di visita aRoma, del Tempio Maggiore che mostra come vengono utilizzati gli argenti e i tessuti. È un modo anche per raccontare il patrimonio artistico romano a Boston!

    Per saperne di più sulla storia dell’Aron si possono consultare i seguenti siti:

    Per visionare il documentario

    Per ascoltare la playlist

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