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    Parashà di Mikètz: Yosef conosceva il proprio valore

    Yosef era stato chiamato dai fratelli “ba’al ha-chalomòt”, il sognatore. Che i suoi sogni fossero veri e che si realizzassero lo impariamo da questa parashà. Un altro dono naturale di Yosef era quello di sapere interpretare i sogni degli altri. Questo dono si rivelò utile quando fu rinchiuso nella prigione dove si trovavano i prigionieri del re. 

                R. Naftali Tzvi Yehuda Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) nel suo commento Ha’amèk Davàr (Bereshìt, 40:6-8) scrive che Yosef vedendo i due ministri del faraone, che erano nella stessa sua prigione, con l’aspetto triste, chiese loro quale ne fosse il motivo. Pensava che forse era stata colpa sua perché lui, diventato assistente del direttore della prigione, non li aveva serviti in modo consono alla loro posizione. La risposta fu che erano turbati dai rispettivi sogni ed essendo in prigione non potevano consultare uno degli interpretatori di sogni. Yosef disse loro: “Le interpretazioni appartengono a Dio, raccontateli a me” (ibid., 40:8). R. Berlin commenta che Yosef disse loro che la scienza dell’interpretazione dei sogni non è come le altre scienze, che dipendono dall’intelligenza e dallo studio. L’interpretazione dei sogni richiede un dono speciale che non tutti hanno. È Dio che da’ a una persona che ha questo dono la precisa comprensione del significato dei sogni.

                Grazie a questo dono Yosef interpretò correttamente i sogni dei due ministri del faraone. Poi, quando il ministro dei coppieri si ricordò finalmente che era stato Yosef a prevedere che sarebbe stato perdonato dal faraone, Yosef fu chiamato a corte per interpretare il sogno del faraone. Il faraone gli disse che aveva sentito che lui era capace di interpretare i sogni. Yosef rispose: “Bil’aday” , anche senza di me, Dio darà una risposta tale da far tranquillo il faraone” (ibid., 41:16). R. Berlin fa notare che secoli più tardi anche Daniel  diede una simile risposta al re Nevuchadnetzar dicendogli: “E quanto a me, questo segreto mi è stato rivelato, non per una sapienza che io possegga superiore a quella di tutti gli altri viventi, ma perché l’interpretazione ne sia data al re, e tu possa conoscere quel che preoccupava il tuo cuore (Daniel, 2:30). Quando Yosef disse “Anche senza di me”, intendeva dire che l’interpretazione non dipendeva da lui, ma che la necessità  di tranquillizzare il faraone avrebbe fatto sì che Iddio gli avrebbe dato la capacità di trovare l’interpretazione giusta. 

                R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna ) nel suo commento, fa notare che Yosef intendeva dire che “Anche se il faraone ritiene che io abbia uno dono speciale, ci sono certamente altri in grado di interpretare il sogno. Sarà Dio che mi darà la capacità di farlo”. Nonostante che Yosef conoscesse il suo valore, si rendeva conto che senza l’aiuto divino non sarebbe stato in grado di soddisfare la richiesta del Faraone. 

                R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin ‘Illit) in Hearòt ve He’aròt (p.50) osserva che Yosef disse “bil’aday”, anche senza di me e non disse: “Io non sono nulla”; e non disse neppure: “Io sono in grado di interpretare i sogni”. Yosef conosceva il suo valore, ma lo addusse a Dio. Una persona deve conoscere se stesso, ma anche sapere che il proprio valore dipende dall’Eterno. 

     

    (La stampa “Giuseppe in prigione” è dal primo volume  delle “Storie degli ebrei” di  Giuseppe Flavio, Firenze, Batelli e figli, 1831)

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