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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Kedoshìm: “Non c’è modo più disonesto di trattare il prossimo”

    Normalmente l’insegnamento della Torà funzionava così: Moshè riceveva la profezia dall’Eterno e poi l’insegnava ad Aharon; Aharon agli anziani e gli anziani al popolo. Nel suo primo commento a questa parashà Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega che Moshè insegnò questa parashà direttamente a tutta l’assemblea del popolo perché comprende la maggior parte degli argomenti essenziali della Torà.
    Il commento di Rashì è tratto dal Midràsh Rabbà (Vaykrà, 24:5) dove r. Chiyà afferma che questa parashà comprende la maggior parte degli elementi essenziali della Torà.
    Nello stesso Midràsh, r. Levi scende nei dettagli e spiega che gli elementi essenziali della Torà sono i Dieci Comandamenti. 1. Nei Dieci Comandamenti è scritto: “Io sono l’Eterno tuo Dio” e in questa parashà è scritto “Io sono l’Eterno vostro Dio”. 2. Nei Dieci Comandamenti è scritto: “Non avrai altri dei” e in questa parashà è scritto: “Non fatevi dei di metallo fuso”. 3. Nei Dieci Comandamenti è scritto: “Non pronunciare il Nome dell’Eterno tuo Dio invano” e in questa parashà è scritto: “Non giurerete in Mio Nome in falso”. 4. Nei Dieci Comandamenti è scritto: “Ricorda il giorno del sabato” e in questa parashà è scritto: “Osserverete i Miei Sabati”. 5. Nei Dieci Comandamenti è scritto “Onora tuo padre e tua madre” e in questa parashà è scritto: “Ognuno abbia timore di suo padre e sua madre”. 6. Nei Dieci comandamenti è scritto: “Non uccidere” e in questa parashà è scritto: “Non stare inerte al pericolo del tuo compagno”. 7. Nei Dieci comandamenti è scritto: “Non commettere adulterio” e in questa parashà è scritto: “L’adultero e l’adultera verranno messi a morte”. 8. Nei Dieci Comandamenti è scritto:”Non rubare” e in questa parashà è scritto : “Non rubate”. 9. Nei Dieci Comandamenti è scritto: “Non fare falsa testimonianza contro il tuo prossimo” e in questa parashà è scritto: “Non andare in giro a sparlare. 10. Nei Dieci Comandamenti è scritto: “Non desiderare la casa del tuo prossimo, non desiderare la sua moglie…”, e in questa parashà è scritto: “E vorrai il bene del tuo prossimo come per te stesso”. È evidente che chi desidera le cose di un altro non ama il prossimo.
    Più avanti nella parashà è ripetuta la proibizione di trattare il proselita in modo disonesto, citando nuovamente l’imperativo di voler il bene del prossimo: “E quando uno straniero abiterà nella vostra terra non trattatelo in modo disonesto. Lo straniero che abita presso di voi sarà per voi come ogni altro cittadino e gli vorrai bene come vuoi bene a te stesso, perché siete stati stranieri nella terra d’Egitto, Io sono l’Eterno vostro Dio” (Vaykrà, 19:33-34).
    R. Naftali Tzvi Yehuda Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) nel commento Ha’amèk Davàr a questa parashà, spiega che la Torà parla di uno straniero “nella vostra terra” perché se si fosse trattato di uno straniero con voi in terra straniera, è evidente che gli si vuole bene come usano fare tutti gli stranieri l’uno con l’altro. Il versetto è anche al plurale perché chi vede il suo prossimo abusare di uno straniero e non dice nulla è anche lui un trasgressore.
    In genere trattare il prossimo in modo disonesto significa imbrogliarlo negli affari. Rashì spiega che il proselita non deve essere trattato in modo disonesto neppure con le parole. Non dirgli: “Fino a ieri adoravi gli idoli e ora vieni a studiare la Torà che fu data dall’Onnipotente”.
    R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900) nel suo commento Panìm La-Torà a questa parashà cita r. Shelomo Astruc (Spagna, XIV negli secolo) che chiarisce il commento di Rashì. La lettura superficiale del testo citato da Rashì mette in evidenza un comportamento insolente, molto peggio che disonesto. R. Astruc spiega che il testo va letto e compreso in modo diverso: chi dice al proselita “Fino a ieri…” fa finta di lodare il proselita dicendogli che è così bello quello che ha fatto. Con queste parole fa credere al proselita che lo sta encomiando, mentre la sua intenzione era di ricordargli le sue azioni passate. R. Astruc afferma che non c’è modo più disonesto di trattare il prossimo.

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