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    Spade di ferro giorno 29. Hezbollah non entra in guerra e l’operazione non deve fermarsi

    Due non-eventi importanti

    Il pomeriggio di venerdì è stato un momento determinante nel corso della guerra, non perché sia accaduto qualche cosa, ma per quel che non vi è accaduto. Si tratta di due eventi che erano attesi o temuti e non si sono verificati. Il primo è l’inizio di una guerra vera e propria con Hezbollah, la quale avrebbe potuto facilmente espandersi a tutto il Libano, alla Siria e in definitiva all’Iran. L’occasione di questo incendio poteva essere il discorso molto preannunciato del leader del gruppo terroristico Hezbollah, Hassan Nasrallah. C’erano state delle voci insistenti, da parte dei nemici di Israele, che l’Iran avesse dato un ultimatum agli Usa per far cessare l’operazione a Gaza entro venerdì, minacciando di entrare in guerra se Israele non fosse stato affermato. In realtà già un giorno prima il quotidiano iraniano “Kihan”, che è sotto il controllo della Guida Suprema dell’Iran, aveva pubblicato un articolo molto interessante: in risposta alla domanda sul perché l’Iran non si unisce ai combattimenti per la Palestina e Gaza, l’articolo sostiene che l’Iran non partecipa alle guerre per conto di altre nazioni, ma persegue solo una politica volta a tenere i combattimenti lontani dal territorio iraniano – una strategia che ha dimostrato riuscire a neutralizzare i vari scenari a cui gli Stati Uniti li hanno portati.

     

    Il discorso di Nasrallah

    Nasrallah ha esposto in un lungo comizio pieno di propaganda antiamericana e antisraeliana una posizione del genere: il vile massacro (lui in realtà ha detto “l’eroica azione”) del 7 ottobre è solo “merito” di Hamas (vale a dire: Hezbollah e l’Iran non ne sono responsabili). Senza dubbio Hamas vincerà e tutti i musulmani devono agire in questo senso. Hezbollah fa già la sua parte dal primo giorno, non ha bisogno di dichiarare guerra a Israele perché la sta già facendo e ha il merito di tenere impegnato un terzo dell’esercito israeliano. Di più non si può fare, la guerra sarà lunga, ma Hamas certamente vincerà, perché Israele è debolissimo. Fuori dalla retorica, questo significa che Nasrallah non vuole entrare in guerra ma intende limitarsi a schermaglie con Israele che hanno significato più propagandistico che militare. Naturalmente non ci si può scommettere, perché l’inganno e la dissimulazione (taqiyya) sono tecniche belliche tradizionali dell’Islam, ma per il momento sembrerebbe che Iran e Hezbollah siano più disposti a lasciare Israele smantellare Hamas, in cambio di un vantaggio propagandistico sulla “crudeltà” israeliana, che mettere alla prova la forza di Hezbollah. Chi dichiara la guerra a Israele in questo momento è lontano e poco influente: gli Houti dello Yemen, l’Algeria, i movimenti sciiti dell’Iraq.

     

    Blinken

    Il secondo rischio veniva dalla visita del segretario di stato americano Blinken. Gli Usa si sono schierati con Israele in maniera decisa ed efficace, ma la politica dell’amministrazione Biden è influenzata anche dalla minoritaria ma molto combattiva ala sinistra del partito democratico, fortemente anti-israeliana e in generale dall’ideologia pacifista. Blinken era venuto in Israele per ottenere la riapertura delle forniture di carburante a Gaza, di cui ha bisogno Hamas per rimpinguare le scorte ottenute sottraendole alle istituzioni civili, e soprattutto per far passare l’idea di una “pausa umanitaria”, che facilmente di fatto sarebbe diventata una “tregua” e cioè nella fine dell’offensiva israeliana, graziando così Hamas. Sui giornali è uscita addirittura la notizia di ottenere un salvacondotto per i capi di Hamas, in modo da farli uscire indenni da Gaza. Il primo ministro israeliano Netanyahu, molto vituperato in questo momento sia dalla sinistra israeliana (e si capisce, è la loro ossessione) che da una destra estrema che soffre di mancanza di realismo, è riuscito a resistere alle pressioni rifiutando ogni pausa “prima della liberazione degli ostaggi”, cosa che probabilmente né Gantz né Lapid e nemmeno Bennett (quelli di cui si parla per la sua successione) sarebbero riusciti a fare. Non vi saranno per il momento rifornimenti di carburante né “pausa umanitaria” su Gaza e l’esercito ha modo di procedere nella sua azione di pulizia. Ma è chiaro che queste pressioni diventeranno sempre più forti in futuro.

     

    Gli inganni umanitari dei terroristi

    Hamas cerca nel frattempo di sfruttare il più possibile lo stato d’animo pacifista che prevale in Europa e negli Usa. Presenta come attacchi a scuole e ospedali i colpi estremamente misurati e precisi alle sue istallazioni che sono costruite sotto questi edifici pubblici. Israele bada bene a non colpirli, ma cerca di sigillare gli ingressi dei tunnel che sono sparsi anche nelle case circostanti e mira al traffico dei terroristi che ne escono. I terroristi sostengono che gli ospedali sono senza carburante e dunque non hanno più elettricità; ma Israele ha documentato con intercettazioni di telefonate chiarissime fra i responsabili che il gasolio degli ospedali viene preso da Hamas. Com’è spesso accaduto in passato ed è stato ampiamente filmato, i terroristi usano le ambulanze per spostarsi. L’aviazione israeliana ha colpito uno di questi trasporti truppe nascosti sotto l’aspetto dell’ambulanza e il colpo, perfettamente legittimo dal punto di vista del diritto internazionale, è stato largamente propagandato come se fosse un crimine di guerra. Il segretario generale dell’Onu, ovviamente, si è detto “inorridito” dall’episodio. Infine, lo stesso New York Times ha documentato che Hamas usa le uscite in ambulanza dalla Striscia di persone con doppio passaporto o con emergenze mediche, che sono state concordate con Israele e con l’Egitto, per contrabbandare i propri militanti oltreconfine. Lo stesso Egitto ha rifiutato di accogliere un buon numero delle persone messe in lista dai terroristi.

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