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    Commento alla Torà. Parashà di Ki Tetzè: quando la roba è di chi la trova

    di Donato Grosser

    Una delle mitzvòt della Torà è quella di
    restituire ai proprietari gli oggetti smarriti. Nella parashà è scritto: “Quando vedrai il toro o l’agnello del tuo
    fratello smarriti non dovrai ignorarli; li dovrai invece restituire al tuo
    fratello. E se il tuo fratello non sta vicino a te o tu non lo conosci, li
    dovrai portare a casa tua e staranno presso di te fintanto che il tuo fratello
    ne faccia ricerca e allora glieli dovrai restituire. Così farai anche del suo
    asino, del suo vestito e non potrai ignorare ogni cosa di tuo fratello che è
    stata da lui perduta e tu hai trovato (Devarìm: 22-1-3).

              L’autore catalano del Sèfer
    Ha-Chinùch (XIII secolo) spiega che in questi versetti vi sono due mitzvòt: una è quella che prescrive di
    restituire quello che il prossimo ha perduto (hashavàt avedà) e l’altra è quella che proibisce di ignorare quello
    che è stato perduto e di abbandonarlo. Egli aggiunge che lo scopo di questa mitzvà e di fare sì che “animali e
    oggetti smarriti siano al sicuro in qualunque parte nella nostra sacra terra,
    come se fossero in possesso dei proprietari”.

              R.
    Mordekhài Hakohèn (Safed,1523-1598, Aleppo) in Siftè Kohèn, cita un midràsh dove
    è scritto che “se anche tu potessi ignorare gli uomini, non potrai ignorare il
    Santo Benedetto che conosce tutti i segreti”. 

              R.
    Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 358) menziona che
    quando vi era il Bet Ha-Mikdàsh e gli
    israeliti venivano a Gerusalemme tre volte all’anno per le feste di Pèsach, Shavu’òt e Sukkòt, vi era
    un “ufficio oggetti smarriti” chiamato
    Even Ha-To’en. Da quando il Bet
    Ha-Mikdàsh è stato distrutto, i maestri stabilirono che gli annunci sugli
    oggetti smarriti venissero fatti nelle sinagoghe e nelle case di studio (Talmud
    babilonese, Bavà Metzià, 28b).

              L’obbligo di restituire gli oggetti
    smarriti ha delle eccezioni. Alcuni esempi sono riportati nello Shulchàn ‘Arùkh (Chòshen Mishpàt, 259:7) dove è scritto: “[Gli oggetti] tratti in
    salvo da un leone, da un orso, da un’inondazione causata dalla marea o da un
    fiume che ha straripato, appartengono a chi li trova anche se il proprietario
    protesta…”. Il motivo è spiegato da R.
    Feivel Cohen (Brooklyn, 1937-) nel commento Badè Hashulchàn. Nella Torà è scritto: “Così farai […] di ogni
    cosa di tuo fratello che è stata da lui perduta”. Dalle parole “da lui perduta”
    si impara che l’obbligo della restituzione sussiste solo quando un oggetto è
    andato perduto dal proprietario [“da lui”] e si trova presso altri e non se è
    stata perduta da tutti, come nel caso di un’inondazione. In ogni caso R. Moshè Isserles (Cracovia, 1530-1572)
    nelle sue glosse allo Shulchan ‘Arukh scrive che “è bene e giusto
    restituire” anche in questi casi.

              L’inondazione è uno dei tanti esempi
    di situazioni nelle quali non esiste l’obbligo della restituzione. Questo
    principio fu menzionato in un articolo pubblicato nel Journal of Halacha
    (1985, IX) da R. Simcha Krauss. In questo articolo è raccontato che nel 1984
    Dr. Alexander Guttman mise all’asta presso Sotheby’s 59 manoscritti e libri
    ebraici che erano appartenuti alla Hochschule fur Wissenschaft des
    Judenthums di Berlino. Dr. Guttman li aveva fatti uscire clandestinamente
    dalla Germania nel 1938 dopo Kristallnacht quando Dr. Heinrich Veit Simon,
    chairman della Hochschule glieli aveva consegnati dicendo che se fosse
    riuscito a salvarli sarebbero rimasti di sua proprietà. Questo era un tipico
    caso simile a quello di un’inondazione perché era più che probabile che se i
    libri non fossero stati fatti uscire clandestinamente sarebbero andati
    totalmente perduti. I libri sono una categoria a sé perché R. Isserles scrive
    (S.’A., C.M., 259:3) che “c’è chi dice che quando dei libri ebraici vanno perduti
    i proprietari non perdono speranza di recuperarli” perché li acquistano solo
    ebrei e quindi sono recuperabili. In questo caso tuttavia, dopo la guerra la Hochschule

    non esisteva più e non vi sarebbe stato a chi restituire i libri. Il caso finì
    in tribunale a New York e si concluse con un compromesso. Dal punto di vista
    halakhico è però probabile che Dr. Guttman fosse il legittimo proprietario dei
    libri. 

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