Yafuzu Oyevecha è uno dei canti più celebri e solenni dello Yom Kippur. Un inno liturgico composto per momenti festivi particolari, inizialmente intonato per Simchà Torà, nei templi italiani ed in quello spagnolo, durante l’apertura dell’Aròn Ha Kodesh e l’estrazione dei Sefarim. Shalom ha intervistato il Rabbino Capo di Roma, Rav Riccardo Shemuel Di Segni, per scoprire le origini e tutte le curiosità su questa preghiera così antica e così sentita dal popolo ebraico.
Un primo riferimento del testo “lo troviamo nei Machazarim Spagnoli, scritto in caratteri molto piccoli: significa che non era diffuso, né molto praticato. A Roma ha avuto il suo momento di gloria grazie a una melodia speciale e particolarmente suggestiva. Come succede nella poesia liturgica, i testi sono fatti ritagliando le parole della Bibbia e rimettendole insieme in ordine differente. Nello Yafuzu ci sono varie strofe che compongono, con le loro iniziali, il nome dell’autore: Yoav ben Yechièl, un poeta liturgico romano del medioevo, di cui però non sappiamo altro”.
Lo Yafuzu si apre dicendo:” Si disperdano i tuoi nemici quando l’arca si muove e quando essa si posa, giubili il tuo popolo cantando i salmi”. La fonte di queste parole è “all’interno del libro di Bemidbar – Numeri. Si riferisce ad una frase di Moshè che, quando l’Aròn si muoveva nel deserto, diceva ‘Sorge il Signore e i tuoi nemici si disperdano’. L’Aròn, la cassa di legno ricoperta d’oro che conteneva le tavole della legge, era il segno materiale e tangibile del dono fatto da K.B. ad Israele: intoccabile da parte di estranei, rappresentava l’oggetto più sacro della fede ebraica. Il suo passaggio doveva far disperde i nemici, e dunque l’idolatria”.
Un testo celebre, particolarmente amato a Roma, dove ha riscosso enormemente successo grazie alla melodia che lo accompagna. Tuttavia, il canto “non è nato per Kippur, ma per Simchà Torà. È diventato tipico di Kippur per via indiretta, grazie alla trasmissione radiofonica di Rai Radio 1 che succede la fine del digiuno. Infatti, prima, anche nel momento più solenne di Neilà non lo si cantava”.
La solennità, la suggestione che provoca nei confronti di chi l’ascolta, lo Yafuzu Oyevecha è talmente particolare da esser stato richiesto anche durante i matrimoni. Proprio al riguardo, si è sollevato un dibattito tra i rabbini. È proprio l’importanza del canto ad essere la discriminante della questione, perché “ogni cosa ha il suo ruolo ed anche ogni manifestazione liturgica ha la sua collocazione precisa”.