Stiamo leggendo il libro dell’Esodo, Shemot, il momento della vita ebraica in cui da famiglia diventiamo popolo. Il libro che forgia, attraverso molteplici traversie collettive, l’essenza del nostro attaccamento all’energia di una vita legata a Di o. Non c’è forse momento più adatto per ricordare gli insegnamenti di Rav Chaim Vittorio Della Rocca (zz”l), il mio primo, indimenticabile Maestro, con il quale studiai la figura di Moshe, da lui tanto amata.
Nell’anno che è trascorso da quando Rav Chaim Vittorio Della Rocca ci ha lasciati in questa vita ho pensato tanto a Lui e a sua moglie Rossana Piattelli Della Rocca (z”l). Avrei voluto incontrarli all’angolo tra Via Catalana e Via del Tempio per commentare il periodo straordinario che tutti stiamo vivendo: uno sconvolgimento epocale, simile forse ad alcuni passaggi biblici, o ad alcune profezie. Avrei voluto interrogarlo, il Morè, come amava farsi chiamare. O forse solo perdermi nei suoi occhi buoni, nel suo sorriso, ed essere sostenuta da qualche sua parola saggia ed incoraggiante. Avrei voluto parlare con loro dei nipoti, di quanta vita ebraica hanno lasciato dopo di loro, e anche della mia vita a Gerusalemme, un altro luogo dove ci eravamo spesso incontrati.
Quando un anno fa i figli mi concessero l’onore di coordinare il limud in memoria del Rav Della Rocca, emerse un vero e proprio coro di voci dalla sua vita. Voci di studenti, di giovani e meno giovani che avevano vissuto con la certezza della sua presenza, della sua vicinanza affettuosa, del suo insegnamento, della sua preghiera, della sua voce. Al coro dei ricordi mancava solo la sua di voce, inconfondibile, insostituibile. Quella voce che gran parte di noi continua ad ascoltare dentro in sua assenza. Quella voce possente che dopo la guerra lo fece scegliere da Rav David Prato come chazan, cantore del Tempio maggiore di Roma.
Rav Della Rocca teneva moltissimo al suo Maestro Prato. Era uscito dalla guerra orfano di padre, Rubino Della Rocca, deportato dai tedeschi per una spiata e ucciso brutalmente durante la marcia della morte da Auschwitz. Erano rimasti tre figli, lui Angelo e Lello, soli con la mamma Elisabetta Moscati. Fu Rav Prato, allora a capo della comunità di Roma, a fare in modo che il giovane Vittorio lasciasse il lavoro di commesso e diventasse il chazan del Tempio maggiore.
Rav Chaim Della Rocca era orgogliosissimo della sua romanità, di appartenere a quegli ebrei che erano a Roma dal tempo dei romani, i Bnei Roma, e amava la sua città. È nato e cresciuto a Portico d’Ottavia ed è qui che poi ha messo su casa e famiglia con la dolcissima Rossana Piattelli. Dalla loro unione sono nati Roberto e Jonatan. Un inno alla vita dopo tanta sofferenza. Il Morè Vittorio era orgoglioso della sua comunità. E ad essa ha dedicato i suoi anni, insegnando alla scuola ebraica e poi per 40 anni al Collegio Rabbinico, istradando generazioni di allievi, in tutti gli ambienti della comunità, da quelli della scuola e del Collegio a quelli che venivano a casa per prepararsi alla maggiorità, bar mizvah o bat mizvah.
La sua vita era regolare, scadenzata dalle preghiere, dall’insegnamento, dagli incontri, e dalle serate del giovedì in cui le famiglie lo chiamavano per il rito della mishmarà, la veglia di origini cabalistiche nata per proteggere il neonato prima della circoncisione ma poi allargata a qualsiasi simchà, gioia famigliare, nascite, maggiorità, matrimoni. Poi c’erano le partite in cui giocava la Roma…
Un rabbino sorridente, affettuoso con tutti, dai ragazzini che giocavano a pallone a via Catalana alle famiglie dei professionisti ebrei che lo invitavano nelle occasioni di gioia. Un sorriso e tanti interessi condivisi con Rav Eliseo, col Moré Pavoncello, con il cognato Rav Alberto Piattelli, con tanti amici di una vita e naturalmente con colui che divenne Rabbino Capo di Roma nel 1951, Rav Elio Toaff, da lui affiancato fin dal suo arrivo nella capitale. In un significativo ricordo, il genero, Sergio Della Pergola, ha spiegato un anno fa quanto il Rav Toaff fosse legato al Rav Della Rocca, al punto da lasciargli nel testamento il suo Talmud.
Desidero chiudere questo breve ricordo con le sue parole, tratte dal libro “Chiedi a tuo padre e te lo dirà”, pubblicato da Belforte nel 2015. Rav Chaim Della Rocca teneva tantissimo ad averlo scritto. Per risentire proprio la sua voce. “.. So che non gradirei ritrovarmi da solo e così nel momento della presentazione davanti al Signore visto che mi sembrerebbe troppo chiedere a …..mia moglie Rossana di farmi compagnia, desidererei avere accanto mio padre, mia madre e i miei fratelli, che mi hanno preceduto…
Tutti noi, nell’arco di una vita, abbiamo accumulato le nostre delusioni…Io, a volte, avrei voluto mostrare maggiore fermezza … Ma non mi pento… L’ho fatto nel segno di quella saggezza che ho cercato di mettere in pratica e di trasmettere a chi condivide i miei stessi valori. La saggezza che mi hanno affidato i miei genitori e i miei maestri. L’unica vera saggezza. Sono felice di averla usata così.”
Sia il ricordo del nostro Maestro romano, così buono e saggio, di grande Benedizione.