Nei giorni scorsi i direttori delle scuole ebraiche di Roma, Milena Pavoncello, Rav Roberto Colombo, e Rav Benedetto Carucci, assieme alla Presidente Ruth Dureghello, hanno incontrato l’assessore alle scuole ebraiche di Milano Dalia Gubbay, per uno scambio di idee e di esperienze. “Quella di Milano è un’ottima scuola ebraica. Il suo assessore ci ha incontrato per comprendere come facciamo qui a dedicare tante ore e tanti nuovi progetti alla cultura ebraica senza intaccare l’insegnamento dell’intero corso scolastico delle materie curriculari” spiega Rav Roberto Colombo, direttore delle materie ebraiche delle scuole Vittorio Polacco, Angelo Sacerdoti e Renzo Levi. Shalom lo ha intervistato.
Rav Colombo, quale era l’obiettivo dell’incontro tra voi direttori e l’assessore Gubbay?
La scuola ebraica di Milano è un’ottima scuola e anche l’insegnamento delle materie ebraiche è molto curato da capaci insegnanti che ho avuto il modo di conoscere nel mio passato. Però la scuola ebraica di Roma ha quasi il doppio delle ore dedicate all’insegnamento della cultura ebraica rispetto a quella di Milano, in tutti gli ordini scolastici. Inoltre si sono creati negli ultimi anni progetti e nuove metodologie didattiche grazie allo sforzo e all’appoggio di tutti i Docenti, anche di coloro che non insegnano materie ebraiche. Il nuovo assessore di Milano ha voluto incontrare i Direttori scolastici di Roma per comprendere il modo in cui è stato qui possibile dedicare tante ore e tanti nuovi progetti per il miglioramento della cultura ebraica senza assolutamente intaccare l’insegnamento dell’intercorso scolastico delle materie curriculari. E’ proprio per apportare possibili miglioramenti in merito che si è sentita la necessità di comprendere come una scuola come la nostra possa dedicare tanti sforzi, tanta attenzione e tante ore all’insegnamento della Torà. Fin da quest’anno, con la generale approvazione, si inizierà un rapporto più stretto tra le due scuole ebraiche italiane e si organizzeranno incontri tra i Docenti e tra gli alunni di Roma e Milano con attività e lezioni tenute dagli stessi studenti di entrambe le città, invitando anche i giovani delle piccole Comunità. È con la collaborazione reciproca che i ragazzi possono veramente crescere anche ebraicamente.
Cosa rappresentano le scuole ebraiche di Roma per le altre comunità?
Non ho certo le capacità per rispondere a questa domanda. Ma credo che una scuola in cui tutti i bambini delle elementari e i ragazzi delle Medie e un buon numero di studenti del Liceo partecipano ogni giorno alla Tefillà nelle classi o riuniti in varie aule magne e al bel Tempio della scuola, un Istituto in cui si respira un’atmosfera ebraica in cui l’insegnamento della Torà è vissuto con grande cuore da tanti alunni non possa che essere un esempio di vita ebraica per ogni Comunità.
Può descriverci il modello di educazione ebraica che viene applicato nelle scuole ebraiche di Roma? Questo modello come si declina nelle diverse fasi di apprendimento, ordine e grado scolastici?
Il modello non è certo nuovo. Seguiamo semplicemente l’esempio indicato dai Maestri del Pirkè Avòt: su tre cose il mondo poggia: sulla Torà, sulla Tefillà e sulle opere di bene. Non deve mai mancare la Tefillà in una scuola ebraica. Riguardo alla Torà, da qualche anno, con l’appoggio del Consiglio della Comunità e con la forte collaborazione dei Direttori scolastici, si sono apportati importanti cambiamenti. Innanzi tutto si sono creati dei progetti per migliorare l’insegnamento delle materie ebraiche in tutti gli ordini scolastici. Alla scuola elementare, per permettere ai bambini maggiormente interessati allo studio della Torà, sono state formate delle classi definite: Toraniòt. In pratica, per coloro che lo desiderano, le ore di insegnamento di Torà sono state addirittura raddoppiate. Alla scuola Media e al Liceo, per gli alunni capaci e interessati, si sono realizzati dei gruppi di studio definiti: gruppi Maskìl, seguiti da Rabbini che si soffermano principalmente sulla comprensione di testi e commenti tradizionali. Gran parte delle lezioni per il gruppo Maskìl sono tenute in lingua ebraica. Fino a due anni fa, gli alunni della scuola Media e del Liceo seguivano anche dei corsi speciali di lingua ebraica per poter ricevere una certificazione dall’Università di Gerusalemme in modo che, dopo la maturità, si potesse accedere direttamente ai corsi universitari senza bisogno della Mekhinà. Si sta cercando di riprendere anche tale progetto.
Quale è il valore più importante che deve consegnare agli studenti una scuola ebraica?
Innanzi tutto la Simchà, la gioia per la nostra millenaria tradizione. Sembra una frase fatta ma non lo è. Sono i Maestri ad insegnare che dove non vi è gioia non vi è neppure Torà. Inoltre, al di là della conoscenza, credo che una scuola ebraica debba trasmettere soprattutto la terza base su cui poggia il nostro mondo: il sapersi rapportare agli altri. Su questo dobbiamo lavorare ancora molto.
Per gli studenti gli ultimi due anni sono stati particolarmente difficili, a causa dell’emergenza sanitaria. C’è un momento che ricorda in modo particolare e che vuole raccontarci?
Sì. C’è un momento che non scorderò mai. Dopo mesi di lezione su zoom, a scuola ormai finita, degli alunni del Liceo mi chiesero una lezione in presenza. Una sola lezione di Torà. Domandai alla Comunità di poter incontrare i ragazzi all’interno dell’Istituto ma mi fu detto che era preferibile non farlo e che gli alunni avrebbero potuto seguire la lezione in un altro locale comunitario. I ragazzi mi dissero che preferivano fare lezione seduti anche per terra, in via Portico d’Ottavia, perché volevano almeno vedere dopo tanto tempo le mura della loro scuola che a loro mancava. Non potevano più starne lontani. Quando raccontai questo alla Comunità ci fu dato il permesso di entrare all’interno e di sedere all’aperto. Siamo stati ore a studiare assieme finalmente col sorriso, con la Simchà che zoom ci aveva tolto. Ecco, questa è una scuola ebraica.