Ha gli occhi che sorridono Sheerel, è felice di essere a Roma con suo padre e sua sorella. Un sorriso che cela una sofferenza amara, il fantasma di quel traumatico 7 ottobre. In quel giorno, Sheerel si trovava assieme ad altre quattro amiche – con cui aveva pianificato di divertirsi e ballare – quando i terroristi di Hamas hanno fatto irruzione al Nova Festival uccidendo e torturando i giovani presenti al Rave. Sheerel è riuscita a sopravvivere, fingendosi morta in mezzo ad una stanza piena di cadaveri. Con il ginocchio dolorante è riuscita a sconfiggere la morte per poter abbracciare di nuovo la sua famiglia e festeggiare la vita. In occasione del suo viaggio a Roma, Sheerel ha raccontato a Shalom la sua esperienza.
Che cosa ricordi del 7 ottobre mentre eri al Nova Festival?
Ero molto felice di andare a ballare al Nova Festival, ero con quattro amiche e siamo arrivate al rave alle 2 di notte. Mi sentivo molto emozionata all’idea di ballare e divertirmi al festival, ho comprato i biglietti al primo turno e ho aspettato circa tre mesi per quel momento. Mentre ballavamo, alle 6,30 abbiamo sentito il suono dei missili sopra le nostre teste, al contempo allo speaker un ragazzo gridava di evacuare la zona e di mettersi in salvo. Ero sola in quel momento, dopodiché ho visto una delle mie amiche e assieme a lei ho cercato quindi di mettermi al riparo. Nel frattempo, un’altra amica ci ha chiamato e ci ha detto di raggiungerle subito. Siamo corse da lei in direzione della casa di una nostra conoscente che abitava vicino Gaza. Tuttavia, ci siamo rese conto che la strada era completamente bloccata, così siamo tornate e ci siamo fermate vicino ad una camera di sicurezza. Arrivavano continue voci di come i terroristi di Hamas stessero invadendo il Paese. Poco dopo abbiamo sentito degli spari e tutti coloro che erano all’aperto sono entrati nelle camere di sicurezza, sono state lanciate immediatamente delle granate nel rifugio. D’improvviso un gruppo di terroristi è entrato nella stanza dove di eravamo nascosti gridando” Allahu akbar” e altre parole in arabo di cui non sapevo il significato. Da lì hanno cominciato a sparare senza pietà, a tutti coloro che erano nella stanza anche a più riprese. Siamo rimasti in quel rifugio per 8 ore sotto l’attacco costante dei terroristi, sentivamo spari, granate, e molotov. Per tutto il tempo in cui mi fingevo morta, ho avuto il corpo di una ragazza sul mio ginocchio ormai rotto, a cui i terroristi avevano sparato appena entrati nel rifugio. La mia più grande battaglia in quel momento era combattere contro il dolore fortissimo che sentivo alla gamba. In un certo senso quella ragazza mi ha salvato la vita rimanendo sulla mia gamba, impedendomi di alzarmi. In quella stanza c’erano in totale 40 persone, solo 12 sono uscite vive, di cui 5 ragazze come me. Mentre ero nascosta, ho realizzato di aver perso il telefono con cui fino a poco tempo prima avevo parlato con mio padre, ero preoccupata soprattutto perchè temevo che pensasse che fossi ormai morta. Ad un certo punto è arrivato il papà di un ragazzo che ha chiamato le persone che erano ancora vive nella stanza dicendo di alzarsi. Ma io e la mia amica non potevamo muoverci perché avevano sparato ad entrambe, così abbiamo urlato, urlato fortissimo e due agenti di sicurezza ci sono venuti a recuperare. È stato un dolore fortissimo, forse il peggiore della mia vita, cercavo di non gridare per non attirare i terroristi ma non sentivo più la gamba.
Sono riuscita a salire su un pickup con altri ragazzi e da lì sono salita su un’ambulanza, sono stata trasferita al Soroka Medical Center, dopo sono arrivati i miei genitori. Mi hanno portato poi in un’altra struttura ospedaliera dove sono rimasta per quasi 5 mesi, ad oggi sto ancora facendo fisioterapia per la gamba.
Come ti senti quando vedi tutte queste proteste pro palestinesi? Quali sono i tuoi sentimenti?
Ci sono delle volte in cui vedendo tutto ciò mi sento profondamente arrabbiata, perché io so, io ho vissuto ciò che realmente è stato il 7 ottobre, sulla mia pelle. Io penso solo che siano persone profondamente ignoranti, che hanno deciso di seguire una moda piuttosto che cercare la verità. Ormai, le persone credono solo nelle fake news senza neppure ragionare. C’erano volte in cui ero davvero arrabbiata e delusa con tutti coloro che non sapevano neppure di cosa stavano parlando, ma fondamentalmente ho pensato che non crederebbero alla mia storia. Ho deciso quindi di proteggere me stessa, specialmente perchè se avessi scelto di farmi travolgere dalla rabbia dubito che sarei stata davvero bene psicologicamente, dubito che sarei riuscita a riprendermi. Ho già dovuto affrontare il mio trauma. Sto cercando di non farmi influenzare negativamente da ciò che vedo.
Secondo te qual’è il compito dello Stato Ebraico, e in particolare dei sopravvissuti all’incubo del 7 ottobre oggi per diffondere la verità in un mondo di bugie?
Credo che, nonostante il dolore, sia fondamentale parlare, raccontare e far sì che la gente sappia di ciò che è stato. Il mondo purtroppo si dimentica molto velocemente, il 7 ottobre è stato rimosso in fretta ed ora tutti sono proiettati solo sul gridare “Free Palestine”. Durante queste proteste che infiammano le piazze sembra che sia stato rimosso di come in quel giorno i bambini sono stati uccisi e le donne violentate. Sono successe cose terrificanti quel 7 ottobre eppure il mondo ha dimenticato in fretta. Io credo che il compito di chi ha affrontato quell’inferno sia raccontare, ma farlo guardando dentro se stessi. Prendersi cura di sé, prendere tempo per digerire il dolore e poi condividere quell’esperienza così traumatica. Io stessa cerco di fare il possibile per diffondere la verità ma al contempo ritaglio sempre del tempo per me stessa affinchè io sia realmente pronta a testimoniare senza soffrire ulteriormente.