Con la scomparsa di Alberto Sed, tra i pochi sopravvissuti ad Auschwitz e testimone e voce della Shoah, si spegne un raro e splendido esempio di dignità, umanità, di coraggio e di forza d’animo. Nonostante la profonda sofferenza che il raccontare gli provocava non ha mai smesso, fermato solo dalla malattia negli ultimi mesi, di continuare a incontrare i giovani e le scolaresche e di testimoniare attraverso semplici ma pesantissime parole cosa è stato il genocidio del popolo ebraico.
Per provare a capire la storia di Alberto Sed, per provare solo ad immaginare le enormi sofferenze che lui e tanti altri patirono nel campo di sterminio di Auschwitz (dove fu deportato alle età di 13 anni, insieme alla madre e tre sorelle) è sufficiente leggere il libro ‘Sono stato un numero’, edito da Giuntina, scritto dal colonnello dei Carabinieri, Roberto Riccardi. È un racconto drammatico, terribilmente lucido, ma privo però di odio o di rabbia, o di voglia di vendetta nei confronti dei carnefici e degli aguzzini. Sono pagine pesantissime nelle quali Alberto Sed descrive con apparentemente freddezza le atrocità commesse dai nazisti che per puro passatempo la domenica facevano sbranare dai loro cani i detenuti (in questo modo orrendo morì sua sorella Angelica) o quando le SS, per divertirsi, costringevano i prigionieri a lanciare in aria neonati di pochi mesi per esercitarsi a sparare al volo, “come fossero al poligono di tiro”. Da quel giorno e per il resto della sua vita Alberto Sed – nonostante abbia avuto figli, nipoti e pronipoti – non è mai più riuscito a prendere un bambino in braccio. È un libro che ci interroga su come l’uomo possa infliggere tanta sofferenza e tante atrocità, mostrando di Alberto Sed l’animo limpido e buono che si apre con gioia alla gratitudine verso coloro che Sed ha incontrato in quell’inferno e che, in un modo o in un altro, si sono prodigati per salvargli la vita.
Questi sentimenti di bontà e di gratitudine verso tutti coloro che lo hanno amano, hanno segnato tutta la vita e l’esistenza di Alberto Sed. Una vita non facile, segnata dal dolore, perché da Auschwitz non si riesce mai ad uscire completamente, perché i traumi fisici e psicologici subiti, le atrocità viste, hanno aperto in tutti i sopravvissuti un buco nero nel corpo e nella personalità. Alberto Sed ha saputo andare avanti anche grazie a tanti giovani che incontrava, e che ascoltavano silenziosi e commossi la sua flebile voce. A quei giovani Alberto mostrava con genuina semplicità il numero che i nazisti gli avevano tatuato sul braccio A-5491. Ma per quei ragazzi e per tutti noi Alberto Sed non è mai stato un numero, ma un uomo. Uno straordinario uomo.