I ricordi spesso sembrano lame. Si inseriscono come schegge all’interno del corpo e non vanno via. Le stesse schegge che penetrarono il corpo di Gadiel Gaj Tachè il giorno dell’attentato alla Sinagoga di Roma, quel terribile 9 ottobre 1982. 40 le persone che rimasero gravemente ferite ed un bambino, il fratello di Gadiel, il piccolo Stefano morì a soli due anni. Come si fa a dare forma al dolore? Come si può spiegare affinché tutti conoscano le dinamiche di quella giornata nera. Gadiel negli anni l’ha fatto parlando, raccontando e raccontandosi nonostante le ferite fisiche e psicologiche. Così lo scorso 16 settembre è uscito il suo libro “Il silenzio che urla. L’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982” (Ed. Giuntina) presentato ieri al Tempio di Vibia Sabina e Adriano della Camera di Commercio di Roma. La presentazione del libro fa parte di un progetto più ampio organizzato dalla Comunità Ebraica di Roma, in occasione del quarantesimo anniversario dell’attentato al Tempio Maggiore di Roma del 9 ottobre 1982.
A dialogare con l’autore sono intervenuti Maurizio Caprara, Fiamma Nirenstein e Andrea Riccardi, moderati dal vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma Ruben Della Rocca. Subito dopo i saluti del Presidente della Camera di Commercio Lorenzo Tagliavanti, della Presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello e del Rabbino Capo di Roma. “Ci vuole coraggio a scrivere un libro come questo. A fare uscire i sentimenti che solo chi ha sofferto e porta dentro ferite, può sentire – ha detto la Presidente della Comunità Ebraica di Roma durante il suo intervento – tante domande rimangono ancora senza risposta, perché oggi di questo parliamo: di una storia senza risposta, cui tante sono le vittime che ringrazio essere qui perché so quanto doloroso possa essere”. Dureghello ha poi proseguito ricordando le gesta dell’allora Rabbino Capo di Roma Elio Toaff in quei giorni dolorosi per la comunità; e sottolineando i dubbi circa l’assenza delle forze dell’ordine e quella terribile mattina del 9 ottobre ’82. “Oggi a distanza di quarant’anni, un lasso di tempo brevissimo ma che in realtà non lo è affatto, siamo qui perché quella memoria non la vogliamo cancellare” ha concluso la Presidente.
Una rabbia dolorosa che ancora brucia a distanza di quarant’anni alimentata da una giustizia che non è mai arrivata, come ha sottolineato Della Rocca: “Questa rabbia non ci è mai passata, anzi è aumentata”. “Ho letto questo libro tutto d’un fiato, anche se ti toglie il fiato, con una grande commozione. E, come ha sottolineato anche Fiamma Nirenstein, è lo stesso testo che impone commozione – ha detto Andrea Riccardi – Io ho sentito raccontare da altri la storia di quella giornata, dallo stesso Ex Rabbino Capo Elio Toaff. Il problema della memoria risiede nella conclusione forte e mesta di questo libro. La continua esistenza dell’antisemitismo”.
“Il silenzio che urla” è un diario, ma anche un dialogo con il mondo circostante e con le future generazioni per provare a far luce su una pagina storica che anche dopo 40 anni sembra ancora essere poco chiara. Il dolore aleggia tra le pagine, diventa materia e si fa reale ripercorrendo le tappe dell’attentato ma anche le confessioni personali di una famiglia intera che ha attraversato l’inferno con la morte del piccolo Stefano. Non mancano i toni cronistici che restituiscono al lettore un racconto d’inchiesta e al contempo un toccante mèmoire capace di emozionare e far riflettere.