La valorizzazione di un patrimonio prezioso e antico, ma anche la rivitalizzazione di un appuntamento divenuto storico per la Comunità romana. Dopo otto anni di stop, tornano gli spettacoli della Compagnia del teatro giudaico-romanesco di Giordana Sermoneta.
“Sono emozionata – racconta a Shalom -. Allora ero circondata dalla garanzia di un incredibile affetto, spero che il pubblico si ricordi di noi”.
La sua è una passione che parte da lontano, più precisamente dal periodo del liceo, quando ha partecipato a un laboratorio teatrale. Poi la chiamata della Comunità per organizzare uno spettacolo di Purim, dimostratosi un successo.
“Eravamo un gruppo di amici. Abbiamo continuato scrivendo “Pur’io riderio (si o matto non fosse lo mio)”, ma era sempre inter nos – continua – Al Centro di Cultura ci hanno presentato l’attore Giacomo Piperno, che era alla ricerca delle sue origini. L’ho invitato per le prove e non se n’è più andato per i successivi 30 anni, diventando il nostro regista”.
Nel 2008 la decisione di prendere sulle proprie spalle la Compagnia, passando proprio alla regia. Il percorso è andato avanti fino alla sua Aliyah, al trasferimento in Israele, dove ha continuato le attività portando il teatro tra gli italiani emigrati. Infine il ritorno nella Capitale e la ripresa nel 2022 del laboratorio. Da allora, nessuna messa in scena.
“Ci vuole tempo, è un gruppo amatoriale dove non tutti hanno già recitato – sottolinea – Noi facciamo anche scrittura. Prendiamo carta e penna e decidiamo tutto: cosa fare, di cosa parlare. Io coordino, ma è il gruppo che produce tutto. Diventa quasi un’analisi, perché per creare una sceneggiatura ci si deve mettere a nudo. Così si sono create anche amicizie vere”.
Ora l’opera è conclusa. A fine maggio il ritorno sul palco.
“Sarà una commedia, in due atti – rivela – Parleremo della dipendenza dai social, un tema molto attuale”.
E alla domanda del perché recitare un tema così moderno in un dialetto tanto antico, Sermoneta risponde con orgoglio:
“È importantissimo. Chiaramente il suo uso deve essere direttamente proporzionale all’ambientazione, non posso utilizzare una ‘versione’ troppo stretta, ma è molto importante farlo. Racconta il legame tra gli ebrei romani e Roma, analizzandolo capiamo la storia. Le sue componenti ci raccontano come ci siamo spostati in Italia: la base è il dialetto romano “antico”, con delle componenti di ebraico biblico, ma ci sono pure parole che provengono dal Sud. Gli spagnoli governavano anche lì e quando furono cacciati gli ebrei, lo stesso accadde sul territorio italiano. Così il Papa li accolse, da lì la commistione. Un esempio? ‘Mammeta, pateto’”.
Una vera e propria stratificazione, dunque, i cui elementi sono tuttora visibili nel parlato delle case ebraiche, soprattutto quelle appartenenti alle famiglie residenti da molte generazioni. Ma c’è molto di più:
“Per capirlo davvero bisogna studiare a fondo i sonetti di Crescenzo Del Monte – sottolinea – Ti spiegano il ghetto. Prima non c’era alcuna testimonianza scritta, perché gli ebrei non erano acculturati. Non abbiamo neanche una ninna-nanna. Lui ha fatto un lavoro di ricerca a qualche decennio dall’abbattimento dei cancelli, attraverso le testimonianze di coloro che la segregazione l’avevano vissuta”.
La missione, dunque, non può che essere quella di coinvolgere i giovani:
“Spero in un gruppo con tanti ragazzi, sarebbe importante per me, anche per aumentare le testimonianze. Tutto quello che abbiamo fatto è stato ripreso, qualcosa è stato pubblicato anche su internet, ma di patrimonio effettivo al riguardo ce n’è davvero poco. E poi è un’attività bellissima: fare teatro ti spinge a scavare dentro, a conoscerti e a conoscere l’altro. Poi c’è il palco, un’esperienza adrenalinica”.