Il 24 marzo 1944, a seguito dell’attacco effettuato dalla Resistenza il giorno prima contro i nazisti che causò 33 morti (28 in loco, 4 in ospedale lo stesso 23 marzo, mentre l’ultimo, il 33°, il giorno dopo), furono assassinati 335 italiani nelle Cave Ardeatine: quanti di loro erano ebrei?
Parlare di ebrei durante il periodo nazi-fascista non è così semplice come sembra. Si dice comunemente che la Shoah è lo sterminio degli ebrei, ma bisognerebbe affermare in modo più corretto che la Shoah è lo sterminio di coloro che i nazi-fascisti consideravano ebrei.
Chi è ebreo? Anche oggi una tale domanda creerebbe molte discussioni in quanto, per esempio, le categorie cambiano se la si rivolge a ebrei ortodossi o a ebrei riformati. In estrema sintesi, nel primo caso è ebreo chi è figlio di madre ebrea o chi si converte con un rabbino ortodosso; nel secondo caso, lo si è anche se solo il padre è ebreo o chi si converte.
Nel Terzo Reich, sulla base delle leggi emanate tra settembre e novembre 1935, si considerava ebreo chiunque discendeva da almeno 3 nonni di “razza ebraica” (“che appartengono alla comunità religiosa ebraica”) o anche 2 se il nipote era membro della comunità ebraica, chi si era sposato con un ebreo/a, chi era nato dal matrimonio con persona ebrea o era il frutto di una relazione extra-coniugale con un ebreo/a.
Nell’Italia fascista, secondo le leggi emanate tra settembre e novembre 1938, era considerato di “razza ebraica” colui che era nato da un genitore ebreo (a meno che al 1° ottobre 1938 egli appartenesse a religione diversa da quella ebraica), oppure da genitori entrambi di “razza ebraica” anche se egli professava religione diversa da quella ebraica, o da matrimonio misto e professante la religione ebraica.
Secondo le leggi di Norimberga naziste gli ebrei uccisi alle Fosse Ardeatine risultano 79 (nella Judenliste erano 75, ma il documento è incompleto).
Sulla lapide posta il 24 marzo 1946 dal rabbino capo David Prato sull’edificio del Tempio Maggiore (lato Lungotevere de’ Cenci) compaiono 74 ebrei, di cui 71 sono quelli incisi originariamente e 3 sono stati aggiunti – grazie al test del DNA – tra il 2011 e il 2020: Marco Moscati, Marian Reicher, Heinz Eric Tuchman. Si segnala che sulla lapide compare Alessio Kubjsckin, che non trova riscontro in altra fonte.
Non vi sono compresi 5 nominativi in quanto uno era figlio di madre non ebrea e quindi non considerato ebreo dal punto di vista ortodosso; un altro era figlio di madre ebrea ma non è mai stato compreso in nessuna lista di ebrei; un altro era battezzato; di altri due si conosce il nome, ma ancora non ne è stato individuato il sacello. Attualmente sono senza nome 7 sacelli.
Il riconoscimento dei corpi non fu affatto facile in quanto i militari portarono 5 vittime alla volta che dovevano inginocchiarsi, essere uccise con un colpo alla nuca e poi altri soldati trascinavano i corpi nel fondo alle caverne che quindi risultarono letteralmente aggrovigliati anche perché scoperti 4 mesi dopo. Si occupò di tale lavoro, dal 26 luglio al 6 settembre 1944, il dottor Attilio Ascarelli, docente di medicina legale all’Università di Roma, che fu coadiuvato da 3 medici: furono individuate 322 salme mentre tra il 1947 e il 2020 ne furono riconosciute altre 6, tra cui i 3 ebrei già citati.
Seguendo l’Halakhà, ovvero le legge ebraica, risultano 76 ebrei uccisi alle Fosse Ardeatine, ovvero i 74 della Lapide del Tempio più la persona battezzata e quella figlia di madre ebrea cresciuta come cattolica (non vi sono compresi il figlio di padre ebreo e madre non ebrea, e i due nominativi ai quali ancora non è stato attribuito il sacello e quindi non si ha la prova concreta che siano effettivamente nel gruppo delle vittime).
Si segnala che, di questi, 66 erano iscritti alla Comunità Ebraica di Roma (non vi è compresa la persona che, al momento dell’uccisione, risultava dissociata; gli altri 9 ebrei non figurano nell’anagrafe comunitaria perché stranieri o iscritti ad altre comunità).