Se n’è andato all’età di 80 anni Giuseppe “Bebi” Pontecorvo, colonna e pioniere del volontariato della Comunità Ebraica di Roma. Sionista della prima ora, “Bebi” ha dedicato la sua vita alla difesa d’Israele e alla gestione dei servizi di volontariato, che ha contribuito a fondare nella sua Comunità. Bebi era figlio di un partigiano, aveva vissuto sulla sua pelle la lotta antifascista. Poco prima della Guerra dei Sei Giorni, in cui Israele fu attaccata dagli eserciti degli stati arabi su ogni confine, Pontecorvo fu chiamato nelle fila del volontariato da Pacifico Di Consiglio, detto “Moretto” di cui la storia è raccontata nel libro di Maurizio Molinari ed Amedeo Osti Guerrazzi “Duello nel ghetto”.
Correvano brutti tempi per lo Stato Ebraico, come per gli ebrei nel mondo, che dovevano difendersi in un momento in cui il fronte del Medio Oriente riaccendeva manifestazioni di antisemitismo. Così Moretto, a capo del volontariato della Comunità di Roma, scelse Bebi, che era poco più di un ragazzo. Da lì nacque un sodalizio che durò decenni: “Bebi era molto vicino a Moretto, – ricorda Giacomo Zarfati, coordinatore nazionale sicurezza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e per anni responsabile della sicurezza della Comunità Ebraica di Roma -. Era sempre a fianco a lui. Faceva parte di quel gruppo ristretto con cui Moretto si consultava su come affrontare le diverse situazioni. L’ho conosciuto nel ’73 quando ho iniziato a frequentare il gruppo dei volontari, già attivo dal ’67. Bebi fu uno dei fondatori dell’AGS (Associazione Genitori Scuola), che rafforzò nel ’72 quando gli atleti israeliani furono assassinati alle Olimpiadi di Monaco. Ha sempre avuto nel cuore l’attività del volontariato, anche dopo la perdita della sua amatissima moglie Lilli». E negli anni più duri Giuseppe Pontecorvo era tra le voci più ascoltate da Pacifico Di Consiglio e del Rabbino Capo Elio Toaff, che chiamava affettuosamente “il Professore”: si è battuto in prima linea nella difesa delle istituzioni ebraiche e d’Israele, e in ogni momento in cui lo Stato Ebraico aveva bisogno di sostegno Bebi prendeva un aereo e andava ad aiutare.
Golda Meir, Moshe Dayan, Menachem Begin, Yitzhak Shamir, Giuseppe li incontrò tutti, assieme ad altri volontari, nelle loro visite ufficiali in Italia. Era un uomo di poche parole, discreto, non amava raccontare le vicende di cui fu protagonista. Sono le fotografie e gli attestati di riconoscimento a parlare, che custodiva nella sua casa. Era un uomo apparentemente duro – ricorda di lui Riccardo Pacifici durante l’eulogia funebre-. Ma si commuoveva quando nella Sinagoga Bet Michael vedeva i bambini prendere la benedizione». Per Bebi contava la sostanza e consegnare l’insegnamento per il futuro ai giovani, con cui aveva un rapporto costante: a loro diceva che ogni ebreo doveva dare il proprio contributo alla comunità e ad Israele, e che non c’erano momenti in cui si poteva abbassare la guardia.
Si è battuto nelle piazze di Roma per i diritti degli ebrei sovietici, assieme ai suoi compagni di volontariato ha aiutato la sua comunità a guardare avanti nel suo momento più tragico e difficile dal dopoguerra, ovvero l’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre dell’’82. Ha voluto, proprio come Moretto, una bandiera d’Israele ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio. «Era un personaggio sempre attuale, trasmetteva entusiasmo, equilibrio e serenità. – dice Mino Di Porto, amico di Bebi e volontario – La capacità di essere attuale si traduceva nella presenza constante. Credeva e diceva ai ragazzi che Israele era una certezza, una garanzia, per il nostro presente e per il nostro futuro».