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    Verso i 110 anni dell’Hashomer Hatzair

    La sede romana dell’Hashomer Hatzair apre le porte per attività divulgative e approfondimenti sulla storia del movimento con un open day aperto a interessati, curiosi e nostalgici degli anni in ken. Il prossimo anno, infatti, si celebreranno i 110 anni dell’HH.

    Ma facciamo un passo indietro: qual è la storia dell’Hashomer Hatzair? Il movimento educativo ebraico nasce in Galizia nel 1913. Durante la Prima guerra mondiale, l’organizzazione “Hashomer”, guardiano, si fonde con “Tzeirei Tzion”, i giovani di Sion, dando vita all’Hashomer Hatzair. Nelle comunità ebraiche dell’Europa orientale si sviluppa quindi una nuova realtà di giovani chanichim, allievi, e bogrim, responsabili, che credono in un’educazione paritaria, nel socialismo, nella diffusione dei valori ebraici, nel sionismo e nello scoutismo. Questi ideali non costituiscono mera ideologia, ma pratiche concrete: organizzazione di attività, peulot, e discussioni sul futuro dell’ebraismo. Lo shomer, in quanto membro del movimento, per realizzarsi si reca in Eretz Israel con l’inizio delle prime migrazioni (alyiot) e costruisce i kibbutzim. 

    Nel 1920 un gruppo di ventisette bogrim fonda il kibbutz Bittania Illit, un luogo che esprime al massimo i valori del movimento: condivisione tramite il lavoro degli obiettivi pioneristici dell’uguaglianza e della parità. Nel corso degli anni, sono numerosi i kibbutzim fondati dall’Hashomer, rendendo il movimento un unicum nello sviluppo dei sistemi pedagogici che regolano la vita nel kibbutz. 

    Durante la Seconda Guerra Mondiale, il movimento “giovane guardiano” partecipa attivamente alle rivolte nei ghetti e alla resistenza. Nel 1943 l’Hashomer Hatzair è leader della rivolta del ghetto di Varsavia. Con l’arrivo delle notizie sullo sterminio di massa perpetuato in Europa, i bogrim e i chanichim polacchi organizzano una lotta resistenziale con la guida di Mordechai Anielewicz. Anielewicz annota queste frasi sul suo diario prima della rivolta: “Ci troviamo sommersi dalla sporcizia e dalla degenerazione. Dentro questa lordura si svolge la nostra guerra. Non dimentichiamo che la più dura delle guerre è quella contro noi stessi: non abituiamoci, non adattiamoci a queste condizioni! Colui che si adatta cessa di distinguere il bene dal male, diventa schiavo, nel corpo e nell’animo”. 

    Tra il 1944 e 1948, l’Hashomer Hatzair si organizza per creare basi logistiche, con cui aiutare ebrei di diversi paesi europei a espatriare nel mandato britannico di Palestina, futuro Stato di Israele. Educa i giovani a ricostruire la propria coscienza ebraica, pionieristica e sionista. Il movimento si diffonde in Italia e in Europa, intrecciandosi con tanti altri movimenti e organizzazioni che fioriscono per tutelare le comunità ebraiche. 

    Nel 1945 si forma in Italia il gruppo GEEDI, Giovani Esploratori Ebrei Italiani, organizzazione scoutistica di cui fanno parte gli tzofim, boy-scout, che intende supportare i giovani sopravvissuti alla guerra. Mentre l’associazione Hechaluz opera per portare i membri nei kibbutzim, raccogliendo l’iniziativa pioneristica di vari movimenti sionisti, gli tzofim italiani si riuniscono. L’iniziativa di aggregazione proviene dai hayalim, soldati britannici della Brigata Ebraica che, subito dopo la Liberazione, radunano i giovani ebrei italiani dispersi. 

    Uno di questi è Roberto Fischer, ebreo fuggito dalla Jugoslavia che all’età di quindici anni entra a far parte degli tzofim. Roberto racconta a Shalom: “Nel 1945, finita la guerra, ero rifugiato a Bologna; assieme ai soldati inglesi è arrivata la Brigata Ebraica, che si occupava ti trovare gli ebrei sopravvissuti. Io avevo 15 anni e loro hanno proposto a mia sorella e mia madre, che erano con me, se volevo andare in hachsharà, la preparazione per andare in Israele. La mia hachsharà si chiamava kadima, in italiano “avanti”. Nel novembre del 1945 io ero lì, ed erano arrivati i permessi per andare in Israele. Un’altra persona si rifiutò di partire e io potevo subentrare, ma il permesso era a suo nome e dovevo fingermi lui. Arrivai prima a Cinecittà, al tempo occupata dai soldati inglesi; sono stato lì cinque giorni, poi sono andato a Bari per prendere la nave che doveva portare i ragazzi in Israele. Il giorno dopo la nave doveva partire. Ma al momento dell’imbarco un dirigente mi disse: “Tu non sei Mario Cardoso. Se lo scoprono gli inglesi, ci mandano indietro tutti”. Alla fine non mi fece partire. Tornai in hachsharà, dove nel frattempo i GEEDI avevano formato gli tzofim e così mi sono unito a loro”.

    Dopo gli intensi anni della prima metà del ’900, l’Hashomer Hatzair ha continuato a seguire i suoi ideali. Negli anni si è diffusa in numerosi Paesi del mondo come un movimento educativo con obiettivi come l’educazione alla parità, la diffusione della cultura, dell’informazione, del pensiero critico, con riferimenti al mondo ebraico e non solo. È da sempre un punto di riferimento per gli ebrei della diaspora, e in particolare per quelli italiani, che portano avanti i valori della solidarietà e della coesistenza pacifica.

    Raccontando gli anni Ottanta, raccogliamo la testimonianza di un altro shomer, Bruno Sed, per il quale questa esperienza è stata fondamentale per la propria crescita: “L’Hashomer ai miei tempi non era molto diversa da come è oggi. Ha inciso fortemente nella costruzione della mia identità, sia personale che relazionale – ci ho trovato moglie! Mi sono sentito parte di una collettività ebraica e responsabile in maniera attiva per il suo cambiamento”. 

    Oggi l’Hashomer Hatzair continua nella sua opera di formazione ebraica. “L’allenamento ad avere un pensiero critico non cambierà mai, i nostri valori si aggiustano nel tempo, ma partono da una tradizione centenaria”, spiega a Shalom Shiry Caftori, l’attuale shlichà, responsabile del ken, la sede di Roma dell’HH. Caftori sottolinea che il motore dell’azione sono sempre i ragazzi, pronti ad accogliere le opinioni altrui, ad elaborarle, rimanendo aperti ai diversi punti di vista. “Serve un grande coraggio per volere il cambiamento”, conclude la shlichà.

    Samuel Habib, giovane bogher di oggi, che ha organizzato l’evento di domenica aggiunge: “Da quando sono entrato in bogrut la mia vita è cambiata. Mi sento una persona totalmente diversa. L’Hashomer ti dà la possibilità di metterti in gioco da tutti i punti di vista. Per esempio, non mi sarei mai aspettato a 17 anni di organizzare un evento”. Samuel invita tutti gli shomrim di ieri e di oggi a radunarsi come un tempo, per condividere ricordi, riscoprire gli archivi, i libri e i giornali prodotti durante gli anni. E per lanciare insieme i festeggiamenti per i 110 anni del movimento.

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