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    Usa: morto Laingen, ambasciatore sequestrato 444 giorni a Teheran

    Sara’ ricordato per sempre come l’ambasciatore gentiluomo rimasto sequestrato, con altri sessanta ostaggi, per 444 giorni, dal 4 novembre ’79 al 20 gennaio 1981, nell’ambasciata americana di Teheran. Il sequestro rappresento’ l’episodio simbolo della crisi diplamatica tra Stati Uniti e Iran. L. Bruce Laingen aveva 96 anni. Nel 1979 era a Teheran come ambasciatore incaricato: era scoppiata da poco la rivoluzione degli ayatollah, tutti gli assetti diplomatici erano stati sconvolti e c’era bisogno di una personalita’ autorevole con lunga esperienza. Lui era l’uomo giusto: in diplomazia dal ’50, aveva esordito in Germania, dove si era occupato dei visti Usa per gli sfollati della Seconda Guerra Mondiale. Tre anni dopo si era ritrovato a Teheran, dove rimase fino al ’55, acquisendo una conoscenza della regione tale da renderlo il candidato naturale per il secondo mandato. Quando torno’ a Teheran nel giugno ’79, trovo’ una citta’ distrutta dalla rivoluzione: “La nostra sede – racconto’ in un’intervista al New York Times nell’81 – era stata evacuata, e quella provvisoria era nella confusione piu’ totale”. Dopo le prime settimane di collaborazione con il nuovo governo della rivoluzione, le cose precipitarono: “Il 4 novembre, mentre ero a un incontro al ministero degli Esteri, un gruppo di studenti rivoluzionari occupo’ la nostra ambasciata e sequestro’ sessanta persone. Il ministro iraniano degli Esteri mi rassicuro’, dicendo che la mattina dopo tutto sarebbe stato risolto”. Passarono, invece, 444 giorni: alcuni ostaggi vennero subito rilasciati ma la maggior parte di loro, tra cui Laingen, tenuto prigioniero in un altro posto, rimase nelle mani dei sequestratori fino al 20 gennaio ’81, giorno in cui Ronald Reagan giuro’ come Presidente degli Stati Uniti. Teheran aveva liberato gli ostaggi in cambio dello scongelamento dei fondi iraniani bloccati dalle banche americane dopo la cacciata dello Scia’. Durante il sequestro, Laingen non approfitto’ mai della sua carica per avere un trattamento di favore. Rimase sempre fiducioso. “Allah e’ misericordioso. Non dicono cosi’ dai minareti quando chiamano alla preghiera?” disse la moglie, rimasta a Washington, in un’intervista a Time a una settimana dal sequestro. 

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