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    Un’America filonazista nella miniserie tv tratta da un romanzo di Philip Roth

    Cosa sarebbe successo se l’aviatore, e noto antisemita, Charles Lindbergh, avesse vinto le elezioni presidenziali del 1940 ai danni di Roosevelt? È quello che si è domandato Philip Roth nel suo romanzo fantapolitico “Complotto contro l’America”, pubblicato nel 2004. Lo scorso luglio è uscito su Sky Atlantic, la miniserie tratta dall’omonimo romanzo.

    Distribuita dalla ormai nota HBO, la stessa di Trono di Spade, la storia si concentra sulla famiglia Levin, di origini ebraiche, che abita nel quartiere ebraico di Newark, New Jersey. Herman e Bess vivono una tranquilla vita americana fino a quando la preoccupazione per una mancata rielezione di Roosevelt, che loro sostengono, li getta sempre più nello sconforto. Un’incertezza generale dove a farne le spese sono soprattutto i figli, il più grande Sandy, infatuato dalla figura di Lindbergh, e il più piccolo e fragile Philip, che nel romanzo è Philip Roth stesso, traumatizzato dal susseguirsi degli eventi.

    Ad aumentare le tensioni è la relazione di Evelyn, sorella di Bess, con il rabbino conservatore Lionel Bengelsdorf, alleato di Lindbergh e persino promotore di un’iniziativa chiamata “Just Folks”, che vuole portare i giovani ebrei nelle fattorie degli Stati Uniti del sud, in sostanza per renderli “meno ebrei” e più americani.

    Nel frattempo il nipote di Herman, Alvin, parte volontario per il fronte europeo con conseguenze facilmente immaginabili, per se stesso e per i precari equilibri della sua famiglia.

    Gli equilibri saltano definitivamente con l’elezione di Lindbergh, che sceglierà una posizione di neutralità, stringendo un patto di non aggressione con Hitler e con l’Imperatore Hirohito del Giappone. Il che scatena reazioni di natura filonazista in cui proliferano antisemitismo e populismo, causa di tumulti, aggressioni, sommosse, disordini civili, atti vandalici e violenze dilaganti in tutto il Paese ai danni della comunità ebraica, con morti e feriti, sinagoghe e negozi di proprietà distrutti o saccheggiati. Reazioni che provocano vere e proprie persecuzioni razziali, che costringono coloro che ne sono vittime a fare i conti anche con la legge marziale e la chiusura dei confini con il vicino Canada. Un risvolto tanto macabro, scongiurato all’epoca, ma raccontato con un realismo e una verità tali da apparire allo spettatore come parte integrante di un passato comune che si proietta verso il presente.

    La forza di un’opera come questa è quella di mostrare la tragedia della storia consumarsi attraverso la lente ristretta delle vicende familiari dei Levin. Le interpretazioni intense di praticamente tutti gli attori, persino di quelli più piccoli, dà l’idea di come tempi incerti e drammatici cambino i meccanismi personali di ognuno prima ancora che cambiare la società nel suo insieme.

    È infatti azzeccata è stata la scelta del cast, con nomi del calibro di John Torturro e Winona Ryder. Degna di nota oltre al cast, è anche la scenografia, che è stata curata nel minimo dettaglio, riproducendo fedelmente l’America degli anni Quaranta, curando nel minimo dettaglio non solo l’abbigliamento ma anche i vari luoghi.

    Ma ciò che fa rimanere attaccato allo schermo lo spettatore sono soprattutto alcune similitudini con l’America di oggi, dove il motto “America First” è tutt’ora attuale, usato da Trump, ma soprattutto dagli estremisti dell’alt-right e dai suprematisti bianchi, protagonisti di atti di antisemitismo e di odio razziale, molto simili a quelli che vedrete all’interno della miniserie.

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