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    TRUMP CONTRO IRAN, SCACCO MATTO SENZA SPARARE UN COLPO. FORSE.

    Il gioco degli scacchi fu inventato in India, probabilmente 1.500 anni fa. Ma il termine che lo rese celebre e prediletto in Occidente è quello della lingua farsi, cioè il persiano parlato oggi nella Repubblica Islamica dell’Iran: Shah, re. Il vincitore annuncia a fine partita che il Re è morto, Shah mat. Certamente il presidente Donald Trump non suggerisce l’idea di un pensoso e sottile campione delle scacchiere. Molto spesso le apparenze ingannano. Quanto allo Shah, re imperatore, gli ayatollah che governano a Teheran hanno costretto all’esilio la dinastia dei Pahlavi nel 1979. La partita che il presidente USA sta giocando nel Golfo punta allo scacco matto non contro un popolo, bensì contro il regime che lo governa e lo opprime. Le sanzioni dure ovviamente danneggiano soprattutto la gente comune, mentre la gioventù dorata –le famiglie degli alti dirigenti– circolano in SUV. Fatte le debite proporzioni, le bombe piovute sul quartiere San Lorenzo il 19 luglio del 1943 distrussero molte vite e le case semplici degli operai. Il fascismo finì sei giorni dopo. L’obiettivo dell’Amministrazione è quello di provocare il collasso delle istituzioni iraniane. Possibilmente dall’interno, e senza sparare un colpo. Poi dovrebbe subentrare una elite di riserva, forse tuttora esistente come espressione della società civile (per usare il gergo caro alla sinistra italiana). Tuttavia alla Casa Bianca e nei palazzi del potere a Washington siede una squadra che è la più sgradita, molti decenni dopo Nixon e il Watergate, sia ai liberal europei che agli editorialisti di giornali e TV mainstream. Trump non ordina azioni militari, e lo accusano di debolezza. Trump ripristina le sanzioni e seppellisce l’ICPOA, il patto per il nucleare pacifico (presunto tale) benedetto da Obama e da Bruxelles nel 2015, e dunque subito viene accusato di affamare il popolo iraniano e di programmare la guerra. In caso di guerra il regime non durerebbe un minuto, e nonostante le periodiche minacce di genocidio a distanza contro Haifa e Tel Aviv non sembra disporre di mezzi militari efficaci per il contrasto. Esercita però un controllo assoluto sulle milizie Hezbollah in Libano e Houthi nello Yemen, che potrebbero –rispettivamente– colpire in profondità Israele e l’Arabia Saudita. Accanto alle tradizionali accuse di essere manovrati dai sionisti, gli USA sono adesso ritenuti responsabili di eccessiva vicinanza con il principe ereditario saudita. Possiamo sommessamente far notare che il Regno ha finalmente dismesso le politiche più brutali di estremismo religioso, e i suoi mezzi di informazione da almeno quindici anni non costituiscono più una delle centrali planetarie dell’odio antiebraico. L’Inghilterra, svincolata dall’Europa, ha assunto posizioni più energiche. Gli europei, come al solito sono divisi e litigiosi anche sulla questione Iran. Grande cautela di Francia e Germania, ma comunque di sostegno sostanziale a Trump. La Spagna e soprattutto l’Italia speravano in buoni affari. Tuttavia il mondo intero sa benissimo che con il denaro messo in movimento dal Nuclear Deal l’Iran ha finanziato una politica di espansione egemonica in tutto il Medio Oriente. Teheran non persegue la pace. Vorrebbe a ogni costo riunire il mondo islamico nella visione sciita della tradizione religiosa. Gli USA propongono tavoli di negoziato e li aprono, sia pure in presenza di intimidazioni e attacchi armati: anche con i Talebani, anche con la Corea del Nord. Teheran da sempre rifiuta il dialogo. Tenere aperti canali di business sarebbe oggi come aver finanziato Filippo II quando i cattolici di Madrid diedero inizio alle guerre di religione che insanguinarono l’Europa, per un secolo.

    PIERO DI NEPI

     

     

     

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