“In
quella retata furono portati via mio
zio, sua moglie e i loro tre bambini. Per i legami che aveva mio zio, avvocato della Sacra Rota, furono
aiutati e nascosti in Vaticano. Si erano
salvati dopo aver assistito a scene
spaventose, ai pianti e alla disperazione di queste persone che venivano portate via. Si sentirono sempre
miracolati ma quasi colpevoli di aver
assistito a queste scene di panico, averle
fatte loro stessi, e poi di essere stati in Vaticano tutto il tempo della guerra”. Lo racconta a Radio Capital la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah
a 75 anni dal 16 ottobre 1943, giorno
del rastrellamento del ghetto di Roma da
parte della Gestapo. “I
vecchi e i bambini – continua Segre –
erano i più increduli. Lo capisco adesso
che sono vecchia: i vecchi diventano
come bambini, hanno lo stesso stupore davanti al male”. Quel giorno Segre aveva 13 anni
ed era “nascosta in casa di una
famiglia eroica, di conoscenti, che rischiava la fucilazione per nascondermi”. Del
rastrellamento si seppe in tempo reale?
“Sicuramente lo seppe mio padre, e lo seppero i miei nonni, ma non bastò a far capire che si
doveva scappare, che si doveva fuggire.
Allora era quasi impossibile pensare che
quella cosa tragica sarebbe successa anche in Italia. Due, tre anni prima, alcuni parenti che avevano capito
decisero di andare in America e, quando
ci venivano a salutare, in casa mia li si
prendeva per matti”.