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    Memoria: mostra sul ghetto di Minsk

    “Dolorosi, ma allo stesso tempo veramente necessari, per portare omaggio, e commemorare le innocenti vittime della più terribile catastrofe del ventesimo secolo” descrive l’Ambasciatore della Repubblica di Bielorussia in Italia Aleksandr Guryanov, eventi come l’inaugurazione della mostra “Il ghetto di Minsk, la morte della speranza”, presso la sede della Fondazione Museo della Shoah. 27 documenti fotografici provenienti dagli archivi bielorussi, “difficilmente in grado di trasmettere un eco di quell’incubo”, tuttavia, “con un loro ruolo nella resistenza alla coltivazione dell’ostilità, la violenza, e la xenophobia”.

    Quella del ghetto di Minsk e degli ebrei che popolavano quei territori è una parte poco studiata e approfondita della storia della Shoah, come evidenziato da Mario Venezia, presidente della Fondazione organizzatrice, eppure, come illustrato da Marcello Pezzetti, tra i curatori e referente scientifico della Fondazione, il luogo ebbe un suo ruolo fondamentale, come centro di strutturate sperimentazioni. Circa 100 mila ebrei passarono attraverso il “macinatore di morte di Minsk” – operativo dal luglio del 1941, e liquidato tra il 21 e il 23 ottobre 1943, con il trasporto della maggior parte dei prigionieri verso il campo di Trostenets – e meno del 5% sopravvisse, ha infatti ribadito Guryanov. “La guerra contro il nazismo prese un terzo delle vite degli abitanti della Bielorussia. Ciò divenne una ferita incurabile nella storia del mio paese, e la sua gente”.

    “Storicamente le terre bielorusse furono per gli ebrei un “porto” ospitale, ed essi contribuirono significativamente risveglio nazionale Bielorusso, la sua vita economica, scientifica e culturale” ha infatti sottolineato, similmente alla presidente dell’UCEI Noemi Di Segni, che ha ricordato come si trattasse di “una popolazione ebraica di cultura e tradizioni antichissime, che aveva vissuto per oltre sette secoli in quelle terre, le cui accademie talmudiche a Minsk, Volozhin, Ivje, Mir, Slutsk avevano prodotto illustri rabbini e studiosi, e che costituiva, anche numericamente, una parte molto rilevante dell’intera popolazione. Un vero e proprio pezzo di Bielorussia, che fu devastato, assassinato, cancellato, distrutto”. “La cultura, lo studio, l’approfondimento, la diffusione della Memoria sono il principale strumento in nostro possesso per difendere il nostro futuro dalla barbarie e da pericolose derive anti-libertarie e antidemocratiche” ha concluso la presidente, e come lei, ha posto l’accento sull’indifferenza, “peggiore dell’odio, come insegna Liliana Segre”, Sira Fatucci, tra i curatori, delegato dell’UCEI all’Hira e responsabile  UCEI per la Memoria della Shoah.

    La mostra rimarrà aperta fino al 21 novembre.

     

    Joelle Sara Habib

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