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    Medio Oriente: domani conferenza di pace in Bahrein, palestinesi boicottano

    Al via domani a Manama, in Bahrein, il forum voluto dall’amministrazione Usa per illustrare la parte economica del piano di pace per i palestinesi, che comprende anche aiuti ad altri Stati chiave della regione. Ma le polemiche sono cominciate gia’ da tempo: i primi ad opporsi, ancor prima di conoscere i dettagli del piano, sono stati proprio i palestinesi. Abu Mazen ha chiesto il boicottaggio del forum di Manama da parte degli altri Stati arabi e domani ci sara’ sciopero generale a Gaza e in altre citta’ palestinesi, contro l’evento. Diverso invece l’approccio dei Paesi arabi, alcuni come la Giordania anche molto vicini alla Palestina, che hanno accettato l’invito dell’artefice del piano Jared Kushner, genero di Donald Trump del quale e’ consigliere, a partecipare all’incontro. L’obiettivo per questi ultimi e’ di andare ad ascoltare, senza preconcetti. Soprattutto la Giordania in piu’ di una occasione ha contestato l’intransigenza palestinese che sta portando lo stato arabo verso il deficit economico. La preoccupazione di Amman, oltre a una questione economica, risiede anche nella paura di dover accogliere sempre piu’ profughi palestinesi.     

    Al forum parteciperanno, tra gli altri, anche esponenti di Marocco, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, ma non Israele, non invitato proprio nella speranza che i palestinesi partecipassero. Da Ramallah e’ invece arrivato un secco diniego, anche se Kushner ha annunciato che alcuni uomini d’affari palestinesi, cosi’ come israeliani (anche giornalisti da Tel Aviv), parteciperanno.

    La Lega Araba, la settimana scorsa, ha indicato in 700 milioni di dollari l’attuale deficit della Palestinam, che potrebbe portarla, a breve, al collasso, proponendo un aiuto mensile di 100 milioni. Da diversi mesi, Abu Mazen si rifiuta di ricevere, come previsto dagli accordi, i trasferimenti delle tasse da Israele perche’ questi li ha decurtati dai soldi spesi per i detenuti condannati per terrorismo. “O tutto, o niente”, dice Abu Mazen, che intanto ha tagliato la meta’ dei budget dei ministeri e del 40% lo stipendio dei dipendenti pubblici, che rappresentano la  maggioranza degli occupati nel Paese, oltre a ridurre gli aiuti a Gaza sui quali l’enclave basa quasi l’80% del suo Pil. 

    Nonostante il fiume di soldi che l’Auttorità Palestinese riceve ogni anno da organizzazioni internazionali e da alcuni Paesi arabi, la popolazione vive in perenne difficolatà economica. Secondo la Banca Mondiale, nel 2018 la crescita palestinese e’ stata pari allo zero, uno su tre palestinesi in eta’ lavorativa e’ disoccupato (quasi il 20% in Cisgiordania e piu’ del 50% a Gaza) e un quarto dei palestinesi vive con meno di 5,50 dollari  al giorno. Viene da chiedersi che fine fanno i soldi che riceve Abu Mazen ? Come vengono gestiti ?

    Per sostenere quindi, in modo trasparente l’economia palestinese, il piano di Washington prevede aiuti e investimenti per 50 miliardi, con 28 miliardi destinati ai territori palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, 7,5 miliardi alla Giordania, 9 miliardi  all’Egitto e  6 miliardi al Libano. All’interno del piano, i soldi non verranno dati a pioggia ma serviranno a finanziare 179 progetti di sviluppo economico, tra cui 147 per la Cisgiordania e Gaza, 15 per la Giordania, 12 per l’Egitto e 5 per il Libano. I progetti includono infrastrutture, acqua, energia, telecomunicazioni, turismo e strutture sanitarie. Inoltre decine di milioni di dollari verrebbero accantonati per diversi progetti intesi ad attirare collegamenti piu’ stretti tra la Striscia di Gaza e il Sinai egiziano attraverso servizi, infrastrutture e commercio. Le linee elettriche dall’Egitto a Gaza sarebbero potenziate e riabilitate per aumentare il flusso di elettricita’. Il piano  propone inoltre di esplorare modi per utilizzare meglio le zone industriali egiziane esistenti per promuovere gli scambi tra Egitto, Gaza, Cisgiordania e Israele. A tutto questo Abu Mazen ha gia detto di no. Si tratta dell’ennesimo rifiuto palestinese che si aggiunge a tanti altri. Come al solito: i palestinesi non perdono occasione per perdere occasioni. In fondo a loro la pace non interessa. Interessa continuare a voler non riconoscere Israele.


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