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    La guerra al terrorismo ci ha reso più sicuri

    Il museo dell’11 settembre sorge dove erano state gettate le fondamenta delle Torri Gemelle. Come altri luoghi della memoria, impone al visitatore una riflessione sugli abissi nei quali può precipitare la mente umana. È una immersione nel buco nero prodotto dal terrore. Lungo il percorso, molte cose provocano intensa emozione: un pilastro di acciaio contorto dal calore, un’autoscala dei pompieri deformata dalle macerie del crollo, le foto delle tremila vittime, le strazianti telefonate ai loro cari dei passeggeri e delle persone intrappolate nelle Torri.

     

    Alla fine della scalinata della memora, si arriva davanti ad un possente muro di cemento. E’ la struttura di contenimento che fu costruita assieme alle fondamenta. Miracolosamente, ha resistito al crollo delle Torri. Se avesse ceduto, le acque del fiume Hudson avrebbero allagato una larga porzione dell’isola di Manhattan. La devastazione sarebbe stata ancor più grande. E il numero di morti astronomicamente superiore. Il muro di contenimento è l’altra faccia dell’11 settembre. Nell’immaginario collettivo, è il simbolo della resistenza all’orrore del terrorismo. New York, gli Stati Uniti, il mondo libero, all’indomani degli attentati, si strinsero in un afflato di solidarietà senza precedenti. Ci fu una condanna corale. Siamo tutti newyorkesi, la frase che risuonò in buona parte delle strade del pianeta.

     

    Venti anni dopo, l’America sembra aver dimenticato il messaggio contenuto in quella parete di cemento che ha retto al collasso delle Torri. Un senso di sconfitta pervade il Paese. “La Guerra al Terrore ha indebolito la nazione – scrive Garrett Graff, giornalista e storico, sulle colonne di The Atlantic -. Ha lasciato gli americani più impauriti, meno liberi, moralmente più compromessi”.

     

    Ma è proprio così? Certo, vent’anni di guerra in Afghanistan si sono conclusi nel modo peggiore, con il ritiro caotico delle truppe statunitensi e alleate, l’attacco terroristico dell’ISIS che ha ucciso 13 marines e 170 civili afghani, il ritorno dei talebani al potere. L’amministrazione Biden ha commesso errori. Ha sottovalutato la possibilità che si realizzasse lo scenario peggiore, quello di un repentino crollo del governo amico del Presidente Ashraf Ghani. Le premesse di un tale esito, a dire il vero, le aveva gettate Donald Trump, escludendo il governo legittimo dai negoziati intavolati con i talebani. Il generoso sforzo della coalizione di costruire le istituzioni di uno stato democratico è fallito. Le mosse di Trump e Biden, in singolare continuità, sono il rifesso di un’ America stanca di una guerra che si era protratta troppo e di cui non capiva più lo scopo.

     

    Ma il sacrificio di tante donne uomini in divisa non è stato vano.

     

    Il governo nato per iniziativa della coalizione, sia pure corrotto, era di gran lunga migliore di quello che i talebani hanno appena annunciato. L’Afghanistan ha conosciuto elezioni, sia pure imperfette. Una stampa libera.  Le donne sono uscite dalla prigione del burka.  I talebani tornati al potere hanno già dimostrato di voler riportare le lancette dell’orologio a vent’anni fa, o al Medioevo, che poi è lo stesso. Ma le libertà sperimentate in vent’anni non si cancellano con un colpo di spugna. Lo dimostrano le coraggiose manifestazioni delle donne a Kabul. Un profondo conoscitore dell’Afghanistan, il genarle David Petraeus, è convinto che se i talebani useranno la forza bruta per ricostruire il loro anacronistico emirato, non sopravviveranno. Gli studenti coranici non sono cambiati, l’Afghanistan sì.

     

    Ma c’è un altro elemento che non deve essere dimenticato.  L’11 settembre fu un atto di guerra del terrorismo islamico all’America e ai valori che rappresenta.  La risposta, un atto di guerra, che fu giusta e obbligata. Se non ci sono stati negli ultimi 20 anni altri 11 settembre è proprio perché gli Stati Uniti e i loro alleati hanno distrutto con efficacia le basi di al-Qaeda e hanno punito i talebani che le ospitavano. La guerra al terrorismo ha reso l’America e l’Occidente più sicuri. Chi dice il contrario sbaglia.  La lezione da trarre dagli ultimi eventi, il ritiro dall’Afghanistan sotto la minaccia dell’Isis, semmai dimostra che non bisogna abbassare la guardia.  Non si può escludere che come venti anni fa, all’ombra dei talebani, i jihadisti si riorganizzino. E tornino a progettare attacchi all’Occidente su vasta scala.  

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