L’emergenza virus ha momentaneamente frenato la marcia di Putin a nuovo zar, avendo imposto il rinvio del referendum che gli permetterà di candidarsi per altri due mandati, ciascuno di sei anni. In Ungheria, invece, la pandemia offre a Viktor Urban l’occasione adatta per trasformare la sua “democrazia illiberale” in una dittatura di fatto.
La legge presentata venerdì e sottoposta oggi al voto di un Parlamento in cui il partito di Orban – Fidesz – ha la maggioranza assoluta estende senza limiti di tempo la possibilità di governare per decreto, di fatto senza alcun vero controllo. Sempre in nome della lotta contro Covid-19, la nuova legge sanziona con pene durissime chiunque, mediante “false informazioni” ostacoli la “efficace protezione” della popolazione ungherese o crei “allarme e agitazione”. La pena prevista arriva ai cinque anni di carcere. Pena identica per chiunque “interferisca” con le disposizioni di isolamento e quarantena, che salgono però a otto anni se l’interferenza è considerata causa di morte.
Lo stato d’emergenza attualmente in vigore in Ungheria, Paese dove il virus ha per ora colpito lievemente, rappresenta a tutti gli effetti una sorta di golpe bianco. La settimana scorsa, oltre a limitazioni draconiane della mobilità, Orban ha istituito il coprifuoco fino all’11 aprile, sotto controllo dei reparti speciali della polizia. Lo stato d’emergenza dovrebbe restare in vigore per 3 mesi, ma la nuova legge permetterà di estenderlo a discrezione del premier. Coniugato con la facoltà di governare per decreto senza controlli e contrappesi, affida di fatto i pieni poteri al leader di Fidesz, già premier dal 1998 al 2002 e poi, senza interruzione, dal 2010.
Le settimana scorsa l’opposizione è riuscita a bloccare la richiesta del governo di approvazione prioritaria, cioè immediata, della legge. Ma si è trattato solo di un rinvio. In Parlamento Fidesz, pur avendo ottenuto il 49,27% dei voti nelle elezioni del 2018, ha comunque la maggioranza assoluta, anche grazie alla riforma costituzionale fatta approvare nel 2011, subito dopo il ritorno al potere dallo stesso Orban.
La marcia di Orban verso lo smantellamento della democrazia sostanziale, sostituita da un regime di fatto plebiscitario, quello che lo stesso premier ungherese preferisce definire “democrazia illiberale”, procede così senza incontrare alcun ostacolo. Né c’è da sperare troppo in una reazione dell’Unione europea. Il gruppo dell’Alde, l’Alleanza liberal-democratica, ha protestato ma la Commissione ha preferito non commentare il giro di vite ungherese, limitandosi a ricordare che le misure antivirus dovrebbero avere “carattere temporaneo”. Moniti sussurrati che Orban,come d’abitudine, si limiterà a ignorare e il peso di cui dispone all’interno del gruppo del Ppe, gli farà al solito da scudo.
L’Unione, del resto, ha già chiuso gli occhi sul rifiuto di accettare la distribuzione dei profughi da parte del “gruppo di Visegrad” (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia, tutti Stati della Ue anche se solo la Slovacchia ha per ora adottato la moneta unica), sulle continue violazioni dei diritti in Ungheria. Subito prima che l’emergenza contagio prevalesse su ogni altro fronte politico, il premier era impegnato nel bloccare la sentenza della magistratura che impone di risarcire i bambini rom vittime di discriminazione e addirittura di segregazione a scuola.
Il blocco di Visegrad, il cui ingresso nell’Unione è stato fortemente voluto, nel 2004, dalla Germania è per molti versi uno dei principali elementi di disgregazione dell’Unione. Non solo per il rifiuto di accettare le disposizioni solidaristiche di Bruxelles ma anche perché l’ungherese, con il suo antieuropeismo soft che non arriva mai a denunciare apertamente l’Unione ma ne mina e depotenzia continuamente il ruolo, è diventato nell’ultimo decennio il modello e il punto di riferimento di tutti i movimenti sovranisti che hanno acquistato ovunque, nello stesso decennio, forza e consenso popolare.
L’asse con Salvini, che non ha mai nascosto l’intenzione di presentarsi come una sorta di “Orban italiano”, è apparso subito dopo l’ingresso della Lega al governo, nel 2018, particolarmente solido e salutato da entrambi i leader con ostentato reciproco calore. Il limite di quell’alleanza, come di qualsiasi asse sovranista europeo, era tuttavia evidente e si è puntualmente realizzato negli ultimi giorni: la solidarietà ideologica tra forze sovraniste è destinata infatti a scivolare in secondo piano a fronte della difesa strenua degli interessi particolari. I Paesi di Visegrad, Ungheria in testa, sono tra i più fermi nel bocciare la richiesta italiana di condivisione europea del debito necessario per fronteggiare la crisi economica innescata dal contagio, i cosiddetti “Coronabond”. Ognuno per sé e il virus contro tutti, nell’illusione, condivisa purtroppo anche da Paesi di ben altro peso nell’Unione come la Germania, di poterne uscire così meglio degli altri.