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    E’ MORTO SERGIO MARCHIONNE. UN DESTINO TRA EUROPA E USA

    E’ morto nell’ospedale di Zurigo dove era ricoverato dal 28 giugno scorso l’ex ad della Fiat Sergio Marchionne. Sessantasei anni compiuti a giugno, Marchionne era stato ricoverato per sottoporsi a un’intervento alla spalla.

    Se c’è un tratto comune nel percorso umano e professionale di Sergio Marchionne, il manager italo-canadese che si è spento oggi a Zurigo per una grave malattia, è quello di essersi sempre mosso fra le due sponde dell’Atlantico. Nato a Chieti il 17 giugno 1952, Marchionne era figlio di un maresciallo dei Carabinieri (circostanza ricordata nella sua ultima uscita pubblica, lo scorso 26 giugno a Roma, presso il Comando dell’Arma di Viale Romania) e di una giovane istriana. Dopo l’adolescenza in Abruzzo Marchionne seguì la famiglia in Ontario, dove si era già stabilita una zia materna. In Canada Marchionne ottenne la laurea in filosofia presso l’Università di Toronto, seguita da una laurea in legge alla Osgoode Hall Law School of York University e quindi un Master in Business Administration presso la University of Windsor. Dopo avere esercitato la professione di procuratore legale, Marchionne entrò nel 1983 in Deloitte Touche come avvocato commercialista ed esperto nell’area fiscale, primo passo di una carriera che nel 2000 lo portò in Svizzera alla carica di A.d. del Lonza Group. attivo nel settore dei prodotti per le industrie farmaceutica e sanitaria. A portarlo sotto i riflettori il successo ottenuto nel risanamento di Sgs, colosso elvetico nei servizi di ispezione, verifica e certificazione, di cui divenne amministratore delegato nel 2002. I risultati ottenuti in Sgs – che fra i suoi clienti aveva proprio Fiat – lo portarono all’attenzione del Lingotto, alle prese con la crisi aggravata dalla scomparsa di Gianni Agnelli. Entrato nel cda del Lingotto dal 2003 su designazione di Umberto Agnelli, dopo la morte di quest’ultimo, Marchionne venne nominato il 1° giugno 2004 Amministratore delegato del gruppo. Al suo fianco il presidente Luca Cordero di Montezemolo e il vicepresidente John Elkann, all’epoca appena ventottenne.

    La sua impronta ‘decisionista’ emerse subito sia con una serie di cambi ai vertici del gruppo che, soprattutto, con il durissimo braccio di ferro con General Motors, che portò a sciogliere l’accordo raggiunto nel 2000 da Paolo Fresco costringendo gli americani a versare 2 miliardi di dollari purché da Torino non venisse esercitato l’obbligo di acquisto di Fiat Auto. Ma è nel 2009 che Marchionne compie il suo miracolo manageriale: in un’America piegata dalla crisi finanziaria – che da Wall Street aveva ormai raggiunto anche l’economia ‘reale’ – Fiat ottenne dall’Amministrazione Obama il 20% di Chrysler, una delle ‘Big Three’ dell’automobilismo Usa, che, dopo la fallimentare alleanza con Daimler, era praticamente fallita. A convincere Washington, oltre alla personalità di Marchionne, l’esperienza e le garanzie offerte da Fiat su nuove formule di mobilità ‘verde’. Fu il primo passo di un percorso che – attraverso l’acquisto delle rimanenti quote – porta nel 2014 i torinesi al controllo del 100% di Chrysler. Nasce Fiat Chrysler Automobiles che sancisce la figura di Marchionne come uno dei grandi protagonisti – sulle due sponde dell’Atlantico – dell’automobilismo mondiale. Un cammino scandito da alcune grandi operazioni (alcune delle quali ancora in via di realizzazione), a iniziare dal rilancio di Jeep, divenuta ormai il gioiello della corona di FCA, passando per la rinascita di Maserati e la scommessa su una Alfa Romeo ‘premium’, marchio caparbiamente negato ai concorrenti tedeschi. 

    In mezzo però, anche la delocalizzazione di numerose produzioni, con la conseguente chiusura di diversi impianti italiani, primo fra tutti quello siciliano di Termini Imerese che portò a una frattura in fondo mai sanata con i sindacati. E l’ultimo piano industriale – presentato appena lo scorso primo giugno – confermava quanto già annunciato da tempo, ovvero il declino del marchio Fiat, cui sarebbe stato preferito sui principali mercati quello della ‘famiglia’ 500, e l’uscita di scena di Lancia. Per il futuro Marchionne – che ha inseguito inutilmente altre alleanze, convinto che solo grandi gruppi abbiano speranza di sopravvivere nel mercato automobilistico globale – aveva già delineato altre priorità, a iniziare dall’abbandono progressivo del diesel per sposare nuove forme di mobilità ‘verde’. Un processo che – in base ai piani annunciati al mercato – il manager avrebbe seguito dai vertici di Exor, visto che la famiglia Agnelli-Elkann non aveva nessuna intenzione di ‘liberarsi’ dell’uomo che aveva salvato il gruppo. Ma di molto altro sono stati pieni gli anni passati da Marchionne a Torino: a iniziare da un rapporto ‘dinamico’ con la politica e con il resto dell’imprenditoria italiana, come testimoniato dalla decisione di portare Fca fuori da Confindustria. Molti i protagonisti che hanno sperimentato il ‘tocco’ di un manager che non tollerava ostacoli sul proprio cammino: a iniziare da Luca Cordero di Montezemolo, diversissimo per storia e stile, uscito di scena dalla ‘sua’ Ferrari 2014 alla vigilia dello sbarco a Wall Street. 

    Nonostante i riflettori, il manager italo-canadese è riuscito a mantenere uno stretto riserbo sulla sua vita privata, complice anche la scelta di mantenere in Svizzera la propria residenza, per l’esattezza nel cantone di Zugo, dove abitano anche la prima moglie Orlandina, italiana con origini canadesi, e i due figli Alessio Giacomo (che ha compiuto i suoi studi in Canada) e Jonathan Tyler. Dopo la fine del primo matrimonio Marchionne ha iniziato, nella più totale discrezione, una nuova relazione, nata all’interno dello stesso gruppo. Molti gli aneddoti sul suo stakanovismo (come quello di muoversi con il jet privato da una parte all’altra dell’Atlantico a seconda delle giornate festive o lavorative) affiancato alla dedizione assoluta richiesta ai suoi collaboratori, seconda solo a quella che si era auto-imposto per portare avanti il proprio compito. D’altronde, proprio nell’ultima uscita romana, Marchionne aveva spiegato come nei Carabinieri si rispecchiavano “i valori con cui sono cresciuto e che sono stati alla base della mia educazione: la serietà, l’onestà, il senso del dovere, la disciplina, lo spirito di servizio”. Pochi gli hobby conosciuti (una passione per le Ferrari, che acquistava di tasca propria, e per la musica lirica) e un vezzo, ormai diventato ‘mitico’, quello di presentarsi agli appuntamenti più importanti (persino alla Casa Bianca o al Quirinale) con un informale maglioncino blu, diventato il simbolo di un’era come fu l’orologio sopra il polsino di Gianni Agnelli. Fra le poche eccezioni, l’ultima uscita internazionale, quando lo scorso primo maggio al Balocco sotto il tradizionale pullover rivelò una cravatta. Era un impegno che aveva assunto per il giorno in cui FCA sarebbe stata senza debiti. Missione compiuta, prima di uscire di scena per una malattia che non dà tempo e che non perdona. (Mge/AdnKronos)


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