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    Cosa c’è dietro a un nome. Quattro donne nella Shoah, quattro storie importanti

    Ricordare la Shoah vuol dire
    parlare di persone che hanno dato il proprio contributo allo sviluppo della
    società e sono state uccise per un odio ingiustificato in nome di un ideale
    che, per quanto assurdo a noi oggi possa sembrare, ha coinvolto milioni di
    europei.

    Il Dipartimento di Filosofia
    dell’Università Sapienza di Roma, insieme all’Unione delle Comunità Ebraiche
    Italiane, ha celebrato il Giorno della Memoria 2023 attraverso il Seminario
    “Sulle tracce di nomi propri”, parlando di donne, raccontate da donne.
    L’incontro nasce dall’idea della prof.ssa Orietta Ombrosi di restituire volti e
    nomi propri di donne ebree scomparse nella Shoah che, grazie alla scrittura
    letteraria e/o alla ricerca storica, sono emerse dal silenzio e dall’oblio

    Hanno introdotto l’incontro
    Antonella Polimeni, Rettrice dell’Università, che ha ricordato le parole di
    Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”; Arianna
    Punzi, Preside della Facoltà, che ha sottolineato la responsabilità delle nuove
    generazione nel combattere l’indifferenza, soprattutto quando i sopravvissuti
    non ci saranno più; Piergiorgio Donatelli, Direttore del Dipartimento di Filosofia,
    che ha sostenuto l’importanza di individuare le vittime con i loro nomi e la
    loro storia in quanto “non conoscerne uno mina la realtà del mondo” e gli
    organizzatori, i professori Orietta Ombrosi e Giovanni Licata, che hanno
    spiegato come il Seminario sia la conclusione di un corso di studi sui regimi
    totalitari che ha compreso anche la proiezione continuata per due giorni del
    documentario Shoah di Claude Lanzmann.

    Elena, Esther, Dora e Charlotte:
    opporsi alle ingiustizie, cercare le proprie origini, ricostruire la vita di
    una sconosciuta, l’arte annullata. Sulla base del recente libro di Gaetano
    Petraglia, “La matta di piazza Giudia”, Silvia Haia Antonucci (Archivio Storico
    della Comunità Ebraica di Roma “Giancarlo Spizzichino”) ha descritto Elena a partire
    dalle parole di Settimia Spizzichino, unica donna ritornata dalla razzia degli
    ebrei di Roma avvenuta il 16 ottobre 1943: “Era una vera e propria
    rivoluzionaria, non aveva paura di niente e di nessuno. Quando i fascisti si
    avvicinavano al Ghetto [area dell’ex ghetto, n.d.a.], lei andava loro incontro,
    li avvicinava, li insultava, spesso finiva a botte, così dava il tempo ai
    nostri giovani di scappare”. Un libro rilevante sia come esempio
    dell’importanza della storia orale nella ricostruzione delle storie personali,
    sia come prova che a volte la legge sulla Privacy possa danneggiare la ricerca
    storica. Infatti, in mancanza dell’autorizzazione della famiglia (che per
    fortuna c’è stata), a seguito dei suoi ricoveri in manicomio, sarebbe rimasto
    impresso su Elena lo stigma di una malattia mentale che non c’era: si trattava,
    invece, di un modo di relazionarsi con gli altri senza filtri, in quanto moglie
    separata abituata a comportarsi senza seguire le rigide regole dell’epoca che
    limitavano la vita delle donne.

    Il titolo del libro “Forse
    Esther” di Katja Petrowskaja – scrittrice e giornalista tedesca di origine
    ucraina – analizzato da Camilla Miglio (Sapienza, Università di Roma), è
    emblematico dell’importanza dei nomi che, nell’ebraismo, rappresentano l’essenza
    della persona. È una sorta di autobiografia che narra la ricerca delle radici
    della propria famiglia, dei nomi propri (in questo caso non si è certi né del
    nome, né del cognome in quanto “forse Esther”, la nonna, è stata sempre
    chiamata in famiglia con un soprannome).

    Patrick Modiano – scrittore e
    sceneggiatore francese – invece, rimane colpito dalle vicende di una ragazzina
    ebrea di 15 anni scomparsa durante la Shoah a Parigi, dove egli vive, che
    ricostruisce in “Dora Bruder”, libro analizzato da Orietta Ombrosi.

    Infine, la vita della pittrice
    Charlotte Salomon, uccisa ad Auschwitz a 26 anni, incinta, con una storia
    familiare difficile, è stata narrata da David Foenkinos – scrittore, regista e
    sceneggiatore francese – nel libro “Charlotte”, descritto da Fiorella Bassan
    (Sapienza, Università di Roma).

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