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    Biden designa il nuovo ambasciatore Usa a Gerusalemme

    Chi è Lew

    Il nuovo ambasciatore americano a Gerusalemme scelto dal Presidente Biden è Jacob J. Lew: esperto di finanza e di relazioni internazionali, proveniente dal settore bancario, con buona esperienza accademica, già assistente speciale per il presidente Clinton e capo dello staff e segretario al tesoro per Obama. Lew è ebreo, come la maggior parte dei suoi predecessori recenti. Prima di assumere il ruolo, che scadrà con la fine della presidenza Biden nel gennaio del 2025, Lew deve ancora affrontare l’esame del Senato americano e averne un voto di approvazione. Non dovrebbe essere un ostacolo, dato che il Senato è a maggioranza democratica, ma non è escluso che qualche difficoltà gli venga dai nemici di Israele che non mancano nella sinistra del suo partito, anche al Senato.

     

    Gli ambasciatori americani

    Da sempre l’ambasciatore americano in Israele è uno dei ruoli più importanti della politica israeliana ed è anche uno dei protagonisti della politica estera americana. Quasi sempre chi occupa un posto così delicato non è un diplomatico di professione, né qualcuno che viene premiato per i suoi generosi contributi alla campagna elettorale del presidente, come accade per le principali ambasciate europee, ma una persona di fiducia del presidente in carica, un politico autorevole che continua ad occuparsi di Israele anche dopo la fine del suo mandato. Così era Dan Shapiro, l’ambasciatore di Obama che ha retto il posto fra il 2011 e il 2017, spesso in dura polemica con Netanyahu; così anche David Friedman, nominato da Trump, che si è guadagnato la gratitudine di Israele per il suo ruolo nel trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme da Tel Aviv dove l’avevano lasciata i presidenti precedenti contro la volontà del Congresso, e soprattutto per il lavoro che ha portato agli “accordi di Abramo”. Per quanto riguarda l’uscente ambasciatore Thomas Nides, anche lui proveniente dallo staff di Obama, dov’era sottosegretario agli esteri alle dipendenze di Hilary Clinton, nominato a Gerusalemme da Biden nel 2021, le sue dimissioni di quest’estate sono state giustificate da motivi personali, ma forse anche facilitate da una serie di dichiarazioni pubbliche che gli hanno reso difficile interagire col governo in carica, come quelle che equiparavano terroristi uccisi durante i loro attentati e vittime, o l’ammonimento a Israele di non continuare a deragliare dalla vita democratica.

     

    Quel che ci si può aspettare dal nuovo ambasciatore

    Il ruolo di Lew non sarà facile. Biden continua ad appoggiare l’opposizione al governo, si rifiuta di invitare alla Casa Bianca Netanyahu, che è ridiventato primo ministro da più di otto mesi, mentre ha appena fatto organizzare per Yair Lapid un giro di incontri politici importanti a Washington. Soprattutto difende ostinatamente il progetto di un accordo con l’Iran, anche se quest’ultimo continua a sviluppare il suo tentativo imperialista in tutto il Medio Oriente, appoggia la Russia con armamenti nella guerra all’Ucraina e spesso provoca direttamente piccoli incidenti contro i militari americani. Lew dovrà difendere queste politiche e soprattutto il legame che gli Usa appoggiano fra l’estensione degli accordi di Abramo all’Arabia Saudita (in questo momento il primo obiettivo internazionale del governo israeliano) e nuove concessioni alla declinante autorità palestinese. Il tutto in mezzo alla crisi politica israeliana provocata dal movimento contro la riforma della giustizia e nell’anno delle elezioni americane, che si svolgeranno fra quattordici mesi. Lew però viene descritto come un ottimo negoziatore, il fatto di essere ebreo ortodosso gli renderà più facile dialogare con il mondo politico israeliano di quanto accadesse al reform Nides. Non è detto che il nuovo ambasciatore possa o voglia aiutare Israele nelle sue priorità strategiche (difesa dall’Iran e dal terrorismo, estensione degli accordi di Abramo, rafforzamento della collaborazione militare, risoluzione della questione giudiziaria): ma le difficoltà non vengono da lui, bensì dal fatto che il rapporto con Israele non è più per gli Usa una politica “bipartisan”, ma esso invece risente di schieramenti in questo momento molto polarizzati anche su questo tema, per cui i democratici si sentono sempre meno vicini non solo al governo attuale ma in generale allo stato ebraico. E c’è da sperare che un buon diplomatico, senza la propensione alle gaffe di Niden, possa essere utile almeno a chiarire agli interlocutori le scelte reciproche e, se possibile, a trovare una via di mediazione accettabile da entrambi.

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