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    Mondo

    Jimmy Carter e Israele: un rapporto complesso

    Jimmy Carter, 39° Presidente degli Stati Uniti, si è spento domenica all’età di 100 anni nella sua casa di Plains, in Georgia. La sua amministrazione, dal 1977 al 1981, ha lasciato un’impronta indelebile sulla politica del Medio Oriente, segnando sia straordinari successi diplomatici sia clamorosi fallimenti che hanno contribuito a ridefinire gli equilibri nella regione.
    Il più grande traguardo della sua presidenza è stato senza dubbio il ruolo di mediatore negli Accordi di Camp David del 1978. Questo storico trattato ha portato alla pace tra Israele ed Egitto, rappresentando il primo accordo di pace tra lo Stato ebraico e un Paese arabo. Carter lavorò instancabilmente per 13 giorni al fianco del Primo Ministro israeliano Menachem Begin e del Presidente egiziano Anwar al-Sadat, redigendo personalmente ben 23 bozze del trattato. Sebbene inizialmente criticati sia in Israele che in Egitto, gli Accordi di Camp David hanno gettato le basi per una pace che dura ormai da 46 anni.
    Se Camp David rappresenta un successo, il capitolo iraniano della presidenza Carter è stato un disastro che ha avuto conseguenze devastanti per la stabilità del Medio Oriente. La crisi iniziò con il mancato appoggio allo Scià Mohammad Reza Pahlavi, storico alleato degli Stati Uniti, di fronte alla rivoluzione guidata dall’Ayatollah Khomeini. Carter scelse una linea di passività, evitando di intervenire attivamente per sostenere il regime dello Scià.
    L’insediamento di Khomeini segnò la nascita della Repubblica Islamica, ostile agli Stati Uniti e a Israele. Nel novembre 1979, la situazione precipitò con l’assalto e l’occupazione dell’Ambasciata americana a Teheran, dove 52 ostaggi furono trattenuti per 444 giorni. Il tentativo di liberazione degli ostaggi tramite l’Operazione Eagle Claw si rivelò un fallimento disastroso. Carter non tentò ulteriori operazioni militari, scegliendo invece la via diplomatica e negoziale. Tuttavia, la crisi si concluse in modo umiliante: il riscatto pagato agli iraniani fu annunciato il giorno prima dell’insediamento di Ronald Reagan alla presidenza, alimentando la percezione di una leadership debole e impreparata. Questo fallimento segnò uno spartiacque nella politica mediorientale, gettando le basi per molti dei problemi che ancora oggi affliggono la regione, dall’espansione dell’influenza iraniana al rafforzamento dell’estremismo islamico.
    Il rapporto di Carter con Israele si è complicato negli anni successivi alla sua presidenza. Nel 2006, la pubblicazione del libro Palestine: Peace Not Apartheid ha suscitato un’ondata di polemiche. In questo testo Carter paragonava le politiche israeliane nei territori palestinesi al regime di apartheid in Sudafrica. L’autore sosteneva che la pace in Medio Oriente sarebbe stata irraggiungibile senza un completo ritiro israeliano dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza, identificando l’espansione degli insediamenti come il principale ostacolo alla soluzione dei due stati. Sebbene Carter abbia sempre ribadito il suo sostegno a Israele, le sue affermazioni hanno sollevato accuse di parzialità e, in alcuni casi, di antisemitismo. Le critiche si sono fatte particolarmente dure da parte di alcune fazioni della comunità ebraica americana e israeliana.
    Negli anni ha incontrato leader palestinesi come Mahmoud Abbas e Ismail Haniyeh, allora capo dell’Ufficio Politico di Hamas, promuovendo l’idea di un dialogo che includesse anche le fazioni più radicali. Questa posizione ha alimentato ulteriori critiche da parte di coloro che consideravano Hamas un ostacolo alla pace.
    Il presidente israeliano Isaac Herzog, nel ricordare Carter, ha riconosciuto il suo contributo fondamentale al processo di pace con l’Egitto, definendolo “un pilastro di stabilità per il Medio Oriente.” Tuttavia, l’eredità di Jimmy Carter rimane complessa: da un lato, un mediatore di pace il cui lavoro ha segnato profondamente la storia di Israele; dall’altro, una figura controversa, mai esitante nel criticare apertamente le politiche israeliane.

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