
Era arrivato a Sydney per un tirocinio e per aiutare a portare luce e gioia in una festa di Chanukkah. Invece, Leibel Lazaroff, 20 anni, volontario americano originario del Texas, si è ritrovato nel mezzo di uno dei più gravi attacchi terroristici mai avvenuti in Australia, trasformando quei minuti di terrore in un atto di straordinario eroismo.
Il 14 dicembre, durante la celebrazione di Chanukkah a Bondi Beach, due terroristi hanno aperto il fuoco sulla folla: 15 persone sono state uccise, decine ferite. Tra loro anche una bambina di 10 anni, Matilda, divenuta simbolo del lutto nazionale. Leibel, che stava collaborando all’evento sotto la guida di Rabbi Eli Schlanger, ha visto il suo mentore essere colpito a morte a pochi metri da lui.
Secondo il racconto del padre, Rabbi Yossi Lazaroff, condiviso in diversi post su X, Leibel non ha esitato un istante. Sentendo le urla di un agente di polizia australiano ferito gravemente, si è precipitato verso di lui. Si è tolto la camicia e l’ha usata come laccio emostatico, riuscendo a fermare l’emorragia e salvargli la vita. Con il terrorista che avanzava, Leibel ha implorato l’agente di consegnargli l’arma: era addestrato, con licenza negli Stati Uniti, e sapeva usarla. “Se non me la dai, moriremo entrambi” avrebbe detto. L’agente, vincolato dai protocolli, non ha potuto farlo. Pochi istanti dopo, Leibel è stato colpito due volte, all’addome e alla gamba.
Oggi Leibel è ancora ricoverato in terapia intensiva in un ospedale di Sydney. Ha già affrontato quattro interventi chirurgici e sta combattendo contro una grave infezione addominale. “È una strada lunga e difficile”, ha spiegato la madre, Manya, in un’intervista a CBS News. “Quando ci hanno svegliato nel cuore della notte non sapevamo nemmeno se fosse vivo”. Solo ore dopo hanno appreso che il figlio era sopravvissuto, seppur in condizioni critiche.
I genitori, che guidano il centro Chabad dell’Università Texas A&M, sono volati dall’altra parte del mondo per stargli accanto. Dal letto d’ospedale, Leibel continua a ripetere le stesse parole: “Avrei voluto fare di più”. Una frase che, per il padre, riassume il suo carattere: “Come genitore posso testimoniare le sue incredibili capacità. In situazioni estreme, c’è chi scappa e chi sceglie di proteggere gli altri, anche a costo della propria vita”.
“Spero che l’Australia un giorno lo riconosca come un eroe nazionale – ha proseguito – Non è stato protetto, ha rischiato di morire dissanguato, eppure pensa solo a chi non è riuscito a salvare”. In un altro messaggio ha riflettuto sul senso delle regole in situazioni limite. “Sotto una pressione estrema, le regole del gioco cambiano”.
In mezzo al dolore, non sono mancati momenti di luce. Durante la settima sera di Chanukkah, un’infermiera ha fatto l’impossibile per permettere a Leibel di accendere il candelabro: ha scollegato i macchinari rendendoli portatili e ha fatto portare il letto all’esterno. Circondato da familiari e amici, Leibel ha acceso le candele mentre il padre cantava. Colpito dalla scena, l’infermiere ha confidato di essere ebreo e di non aver mai celebrato il Bar Mitzvah. Lì, in ospedale, padre e figlio hanno improvvisato una cerimonia, trasformando un reparto di terapia intensiva in un luogo di fede e speranza.
Solo un mese prima dell’attacco, Leibel suonava il pianoforte e cantava a un memoriale per altre vittime del terrorismo. Oggi è lui a lottare per la vita. “Questo deve essere un campanello d’allarme per i leader di tutto il mondo” ha detto la madre. “L’odio porta a conseguenze tragiche”.













