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    Volare coi disegni di Lele Luzzati nel ricordo di Làstrego e Testa

    Scenografo, animatore, illustratore e molto di più. È soprattutto l’aspetto umano che viene fuori dai disegni di Emanuele Luzzati, per tutti, Lele, e da chi l’ha conosciuto. L’artista viene celebrato in una mostra al teatro della Tosse di Genova dove nacque il 3 giugno 1921 e dove, a parte la parentesi drammatica delle leggi razziste, visse per tutta la vita. L’esposizione, aperta il giorno del suo compleanno, sarà visitabile fino al 31 dicembre. Ma chi era l’artista, l’uomo, il compagno di viaggio? Lo siamo andati a chiedere a due famosi cartoonist, autori di serie tv, libri, illustrazioni e titolari della ditta che porta il loro nome, Cristina Làstrego e Francesco Testa, che l’hanno conosciuto e apprezzato.

    “Eravamo dei giovani allievi di Einaudi – ricordano Cristina e Francesco – e il nostro maestro di allora, Daniele Ponchiroli, ci ha suggerito di conoscere Lele Luzzati. Stava preparando una mostra alla galleria Martano. Eravamo un po’ timidi, sia lui sia noi, una semplicità incredibile per un uomo geniale e già noto. Vestiva sempre in modo modesto e, a questo proposito, è famoso l’aneddoto in cui Lele doveva ricevere un premio, ma a teatro la maschera non l’ha riconosciuto e gli ha detto che non poteva entrare perché non aveva la cravatta. Lui ci ha pensato un po’, appesi nel foyer c’erano i manifesti delle sue opere, ne ha preso uno, ha strappato una striscia, se l’è messa intorno al collo a mo’ di cravatta ed è andato a ricevere il premio”.

    Làstrego e Testa ricordano gli anni in cui hanno frequentato Luzzati. “Siamo rimasti affascinati dai suoi film, erano straordinari, ci hanno dato lo spunto per fare anche noi qualcosa del genere. Ma ancor prima, Lele veniva a Torino a fare dei seminari e noi lo seguivamo come allievi e assistenti ed è così abbiamo stretto amicizia. Le sue mostre non erano mai ripetitive, non riproponeva, come molti artisti, i suoi motivi di successo, cercava sempre qualcosa di nuovo. Come scenografo era speciale perché non descriveva quello che capitava, ma aggiungeva un tocco alla regia dandogli un’interpretazione originale.

    Anche come insegnante era particolare. Una volta gli portammo i nostri allievi che stavano lavorando sulla sua grafica e lui li accolse con disponibilità e gli spiegò la sua opera semplicemente malgrado avesse già ricevuto la nomination all’Oscar per la Gazza Ladra. Con i bambini, invece, lavorava motivandoli e a questo proposito ricordiamo un episodio accaduto in un laboratorio di Torino che non era non molto attrezzato. In un vecchio deposito, ha trovato alcune sedie e lui ha mostrato ai ragazzi come si potesse fare un castello con delle semplici sedie, come si potevano portare oggetti casuali dentro la regia”.

    Gli aneddoti non mancano. “Era un uomo di una creatività straordinaria. Una volta, si è tolto la giacca, l’ha rivoltata al contrario con la fodera che si vedeva e disse: ecco prima era una giacca e adesso è un costume”. C’è anche qualche rammarico, Làstrego e Testa si dispiacciono per la chiusura del Museo a Genova intitolato a Luzzati ma anche la consolazione che Rai cultura sta lavorando sul web ad una commemorazione per il suo centenario.

    Quali sono gli episodi più particolari che ricordano? “Certamente uno è quello del presepe. L’allora assessore alla cultura del comune di Torino Fiorenzo Altieri chiese a Lele di fare le luci d’artista, ma lui rispose che voleva fare un presepe perché come ebreo non aveva mai fatto un’opera del genere. Su quell’esperienza e sui suoi disegni, noi abbiamo poi creato la serie dei giorni dell’Avvento sulla Rai. Li prendevamo pari pari e li rendevamo adatti alle riprese televisive. Da lui, abbiamo preso anche spunto per la serie di Aladino. A quel punto, abbiamo chiesto alla Rai di riconoscere la sua collaborazione e ci presentarono un contratto di pagine e pagine, ma lui non lo guardò neppure. Ci disse, questa roba qui non la leggo neppure. E anche quando l’abbiamo ridotto ad una pagina, non ha voluto il compenso. È stato molto generoso, ci ha dato il suo consenso e noi abbiamo prodotto due serie, Aladino e Marco Polo, appoggiandoci alla sua grafica”.

    C’è poi il ricordo degli anni delle leggi razziste e del suo rapporto con l’ebraismo. “Ci diceva che era stato fortunato perché durante quel periodo si trovava in Svizzera e aveva anche un sussidio come studente estero, mentre per sua madre e sua sorella era stato molto diverso perché in Italia avevano avuto molti momenti di pericolo. Si vedeva nelle cose che faceva una tradizione classica e culturale che non era quella italiana, c’era qualcosa dell’Europa orientale e una forte partecipazione alla cultura contemporanea. Si sentiva un semplice artista, non abbiamo mai avuto l’impressione che pensasse di essere un artista ebreo. È vero, ha fatto belle opere su Gerusalemme, ma non era la sua bandiera, piuttosto un modo di attingere alle sue radici”.

    Come definirebbero Lele Luzzati in una frase? “Era una persona che dava priorità all’aspetto culturale e umano – spiegano Làstrego e Testa – il resto era secondario”.

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