”Continuerò a parlare in pubblico, se ne avrò le forze, ma non ripeterò più la mia testimonianza. La mia vita è caratterizzata da fasi e da tempo sentivo che questa fase, durata circa 30 anni, doveva finire. Confesso che l’avevo deciso già prima, ma poi la nomina a senatrice a vita mi ha indotto a resistere ancora per qualche tempo. Nessuno che non abbia vissuto quello che abbiamo vissuto noi può capire quanto sia costato ai sopravvissuti – quei pochi che l’hanno fatto – iniziare a raccontare e poi rievocare ancora e ancora quel passato”. Lo dice, intervistata alcuni giorni fa da La Repubblica, la senatrice a vita Liliana Segre. ”Da fuori forse – aggiunge Segre – si avverte solo la fatica di ripetere sempre la stessa vicenda, ma è altro, è un logoramento psichico difficile da spiegare, da un lato c’è nel testimone la necessità liberatoria del dovere compiuto, ma dall’altro lato c’è il rischio costante dello sdoppiamento”. “C’è una Liliana di oggi – osserva – che ogni volta ricordando i fatti guarda con pena infinita la Liliana di allora, come una nonna guarda una nipotina cara, e la obbliga a ripiombare in quell’orrore, reprimendo come faceva allora l’urlo che le cova dentro. Raggiunti ormai i 90 anni, devo rassegnarmi a rispettare i limiti della mia fragilità. Anche se il debito morale che ogni sopravvissuto alla Shoah prova verso coloro che non sono tornati per raccontare è inestinguibile”. (Vas/Adnkronos)