CasaPound batte ancora Facebook. Il Tribunale civile di Roma ha respinto il reclamo presentato dal social network contro l’ordinanza cautelare che ordinava la riattivazione della pagina principale di CasaPound Italia. Un responso arrivato dopo oltre tre mesi: l’udienza in cui Facebook presentava il reclamo si era tenuta il 14 febbraio scorso. A darne notizia è il sito del ‘Primato nazionale’, che spiega: “Oggi dunque sappiamo che quel reclamo è stato respinto e che le disposizioni del giudice Stefania Garrisi sono state confermate. Questo significa che la pagina di CasaPound e il profilo di Davide Di Stefano, difesi dagli avvocati Augusto Sinagra e Guido Colaiacovo, restano attivi. Facebook viene inoltre condannato al pagamento delle spese legali per 12 mila euro”. Nelle motivazioni della sentenza, spiega proprio Davide Di Stefano in un intervento a sua firma, si conferma la superiorità gerarchica dei principi costituzionali e del diritto italiano rispetto agli ”standard della comunità” del gigante social e alla contrattualistica privata. Nel provvedimento del collegio composto dai giudici Claudia Pedrelli, Fausto Basile e Vittorio Carlomagno si parla di ”impossibilità di riconoscere ad un soggetto privato, quale Facebook Ireland, sulla base di disposizioni negoziali e quindi in virtù della disparità di forza contrattuale, poteri sostanzialmente incidenti sulla libertà di manifestazione del pensiero e di associazione, tali da eccedere i limiti che lo stesso legislatore si è dato nella norma penale”.
“Il giudizio – spiega il tribunale – trova conforto nel fatto che, come rilevato nell’ordinanza reclamata, CasaPound è presente apertamente da molti anni nel panorama politico. L’esclusione di CasaPound dalla piattaforma si deve dunque ritenere ingiustificata sotto tutti i profili richiamati da Facebook Ireland. Il periculum in mora si deve considerare sussistente sulla base delle considerazioni svolte nell’ordinanza reclamata, che meritano piena condivisione, sul preminente e rilevante ruolo assunto da Facebook nell’ambito dei social network, e quindi oggettivamente anche per la partecipazione al dibattito politico”. Non compete dunque a Facebook ”la funzione di attribuire in via generale ad una associazione una ‘patente’ di liceità, posto che condizione e limite dell’attività di qualsiasi associazione è il rispetto della legge, la cui verifica è rimessa al controllo giurisdizionale diffuso”.
Nell’ordinanza dei giudici del Tribunale civile di Roma si richiamano gli articoli 18 e 21 della Costituzione, sulla libertà di associazione e libertà di pensiero. ”Si deve concludere che la disciplina contrattuale non può lecitamente assumere quale causa di risoluzione del rapporto manifestazioni del pensiero protette dall’art. 21 né consentire l’esclusione di associazioni tutelate dall’art. 18; mentre si deve ritenere irrilevante la questione, pur sollevata nel giudizio, della riconoscibilità a CasaPound della qualità di partito politico, non risultando che questa possa attribuire nei rapporti interprivati alcuna tutela ulteriore rispetto a quella già spettante in base agli artt. 18 e 21”.
A prescindere dunque che CasaPound sia un partito o meno, la chiosa del Primato nazionale, la libertà di associazione e di pensiero deve essere garantita. ”Non ha rilevato che CasaPound rientra nella definizione di organizzazione che incita all’odio prevista dagli Standard della Comunità, essendo ‘impegnata nella violenza’ attraverso azioni di ‘odio organizzato’ e di ‘violenza organizzata o attività criminale'”, si legge sempre nell’ordinanza che conclude spiegando che, “in assenza di violazioni accertate e non potendosi valutare in sede cautelare la contrarietà delle finalità dell’associazione con i principi costituzionali, la disabilitazione della pagina Facebook è ingiustificata e produttiva di un pregiudizio non suscettibile di riparazione per equivalente, relativo alla partecipazione CasaPound dal dibattito politico, incidente su beni costituzionalmente tutelati”. (Cro/Adnkronos)