”Lui ha sempre detto che aveva fatto quello che gli riusciva meglio, cioè pedalare”. Nelle poche parole del figlio Luigi, la sintesi di una vita: quella di Gino Bartali al quale Rai Cultura – a venti anni dalla scomparsa, il 5 maggio 2000 – dedica il documentario firmato da Gianluca Miligi e Marco Orlanducci per ”Italiani”, in onda martedì 5 maggio alle 21.10 su Rai Storia (canale 54). Una storia di un uomo e di un campione detto ”Ginettaccio”, per il suo carattere un po’ burbero, ma anche ”L’uomo d’acciaio”, ”Gino il Pio”, ”L’intramontabile”. A raccontarlo, insieme a preziose immagini d’archivio, il figlio Luigi, la nipote Lisa Bartali e una firma indimenticabile del giornalismo italiano, Gianni Mura, recentemente scomparso. Rivive, così, il Bartali delle prime pedalate, delle vittorie al Giro d’Italia e del Tour de France negli anni Trenta, della rivalità con Fausto Coppi, degli anni difficili della guerra durante quali – da fervido credente, iscritto all’Azione Cattolica – si mette al servizio di una rete clandestina per il salvataggio degli ebrei facendo molte volte il tragitto tra Firenze e Assisi in bicicletta, a rischio della propria vita, per trasportare documenti falsi e contribuire così al salvataggio di circa 800 persone. Un impegno per il quale gli fu conferita la Medaglia d’oro al Merito civile e venne dichiarato da Israele ”Giusto tra le nazioni”, anche se – ricorda la nipote Lisa – non parlava mai, in casa, di quello che aveva fatto. Anche perché – amava dire – ”il bene si fa ma non si dice”. Ma c’è anche il Bartali della sua Adriana Bani, che sarà l’amore di una vita e che sposa nel 1940, e l’atleta che torna a vincere dopo la guerra: ancora Giro, ancora Tour. Quest’ultimo a 34 anni, nel 1948, e in momento molto critico, quello dell’attentato a leader comunista Palmiro Togliatti: una vittoria importante perché contribuisce a favorire un clima di pacificazione nel Paese, una vittoria ottenuta facendo quello che gli piaceva, pedalare. Perché – come dice in una vecchia intervista, in cui ”tirava le orecchie” ai ciclisti più moderni – ”per correre in bicicletta, bisogna amare la bicicletta, invece oggi tanti corrono solo perché hanno davanti un guadagno… non so…”. (AR/Adnkronos)