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    Parashà di Vezot Ha-Berakhà. Quando il popolo soffre il leader soffre con loro

    Questa parashà è l’ultima del ciclo annuale della lettura della Torà e viene letta nel giorno di Simchàt Torà. Il testo della Torà termina con il racconto delle imprese di Moshè con queste parole: “Non è più sorto in Israele un profeta come Moshè, con il quale l’Eterno aveva comunicato con chiarezza, che potesse fare tutti i segni e prodigi che l’Eterno lo aveva mandato a compiere nel paese di Egitto, al faraone, ai suoi ministri e a tutto il suo paese, e tutte le dimostrazioni di forza e tutti i grandi miracoli con cui Moshè aveva operato alla presenza di tutto Israele”.

    R. Shimshòn Nachmani (Modena, 1706-1778, Reggio Emilia) in Zera’ Shimshòn (p. 257) per commentare questi versetti, cita il Talmud Babilonese (trattato Ta’anìt, 11a) dove i maestri affermano: “Quando la gente soffre, non bisogna dire: «Io me ne vado a casa, mangio e bevo e pace all’anima mia». Riguardo a chi si comporta in questo modo il profeta Yesha’yà disse: «Ed ecco che tutto è gioia, tutto è festa! Si ammazzano buoi, si scannano pecore, si mangia carne, si beve vino. Mangiamo e beviamo, poiché domani morremo! Ma l’Eterno degli eserciti me l’ha rivelato chiaramente: No, questa iniquità non la potrete espiare che con la vostra morte, dice l’Eterno degli eserciti» (Isaia, 22:13-14)”.

    R. Nachmani aggiunge: “Quando la gente soffre bisogna soffrire con loro. Questo lo impariamo da Moshè che soffrì con il popolo [durante la battaglia contro ‘Amalèk] dove è detto: «Quando le braccia di Moshè divennero pesanti dalla fatica, presero una pietra e la posarono sotto di lui per farlo sedere…» (Shemòt, 17:12). Perché gli diedero una pietra?  Non mancavano a Moshè cuscini o materassi? Ma così disse Mosè: «Quando il popolo soffre anche io devo soffrire con loro, e tutti coloro che soffrono con il pubblico alla fine meriteranno di vedere la consolazione del pubblico». Per questo nella Torà è scritto «e tutte le dimostrazioni di forza» perché soffrì insieme con il popolo come è scritto «e le braccia di Moshè divennero pesanti […] che fece Moshè alla presenza di tutto Israele». Egli fece così perché tutto il popolo stava soffrendo. E chi farà così avrà il privilegio di vedere la consolazione del pubblico quando il Santo Benedetto lo solleverà  dalle sue sofferenze e avrà il privilegio di vedere “All’inizio Dio creò il cielo e la terra”, ovvero la salvezza che Dio porterà al mondo facendolo ritornare come era all’inizio”.  

    Re Davide segui l’esempio di Moshè e anche lui non disse: «Io me ne vado a casa, mangio e bevo e pace all’anima mia», ma volle soffrire insieme con i suoi trenta fedeli guerrieri. L’esempio di re Davide viene raccontato nel libro di Shemuèl (II Samuele, 23:13-17)): “Tre dei trenta scesero al tempo della mietitura e vennero da Davide nella caverna di Adullàm, mentre una schiera di filistei era accampata nella valle dei Refaìm. Davide era allora nella fortezza e c’era un appostamento di filistei a Betlemme. Davide espresse un desiderio e disse: «Se qualcuno mi desse da bere l’acqua del pozzo che è vicino alla porta di Betlemme!». I tre prodi si aprirono un varco attraverso il campo filisteo, attinsero l’acqua dal pozzo di Betlemme, vicino alla porta, la presero e la presentarono a Davide; il quale però non ne volle bere, ma la sparse davanti all’Eterno, dicendo: «Lungi da me, o Eterno, il fare tal cosa! È il sangue di questi uomini, che sono andati là a rischio della loro vita!». Non la volle bere. Questo fecero quei tre prodi”. Lo stesso racconto appare in Divrè Ha-Yamìm (I Cronache, 11:15-19).

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