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    Parashà di Nitzavìm-Vayèlekh. Responsabilità collettiva e teshuvà

    La parashà inizia con le parole: “Oggi siete tutti presenti dinanzi all’Eterno vostro Dio […] così che tu possa entrare nel patto […] che l’Eterno conclude oggi con te, affinché possa fare di te il suo popolo ed Egli sarà tuo Dio, come ti ha detto e ha giurato ai tuoi padri, Avraham, Yitzchàk e Ya’akòv” (Devarìm, 29:9-12).

    R. Moshè  Alshich (Adrianopoli, 1508-1593, Safed) nel suo commento Toràt Moshè, afferma che Moshè si rivolgeva alla seconda generazione dall’uscita dall’Egitto. Coloro che avevano rifiutato di entrare nella terra promessa erano tutti morti e così pure coloro che avevano preso parte nella ribellione di Kòrach. Ora non erano presenti altro che i giusti.  

    Rashì (Troyes, 1040-1105) fa notare che la parashà di Nitzavìm segue quella di Ki Tavò nella quale vi è una lunga lista di punizioni che arriveranno se il popolo abbandonerà la Torà. Citando un midràsh, egli scrive che sentendo quella lista il popolo era impallidito di paura. Per questo in questa parashà Moshè li tranquillizza dicendo loro “oggi siete tutti presenti”.

    Gli autori del Yalkùt Me’am Lo’ez commentano che l’Eterno ha chiamato Israele “il suo popolo” per indicare che il popolo d’Israele non scomparirà mai. Mentre quasi tutte le settanta nazioni che discesero dai figli di Noach sono oggi estinte, il popolo d’Israele continua ad esistere nonostante gli esili e le persecuzioni. Questo deriva dal fatto che gli israeliti giurarono tra i monti Gherizìm e ‘Evàl di essere responsabili (“arevìm”) l’uno dell’altro, al contrario delle altre nazioni dove ognuno si curava solo di se stesso. Questo legame di solidarietà fu riconosciuto fin dall’inizio dal profeta Bil’àm che disse che Israele era “Un popolo che dimora da solo in pace e non si conta tra le altre nazioni” (Bemidbàr, 23:9).

    R. Chaim Yosef David Azulai (Gerusalemme, 1724-1806, Livorno) nel suo commento Penè David cita due versetti del navì Yermiyà (Geremia,51:18-19) che indica che gli altri popoli scompariranno come il vapore; non il popolo d’Israele che gode della diretta attenzione della  provvidenza divina.

    Più avanti nella parashà di Nitzavìm è scritto: “Quando tutte questa cose, la benedizione e la maledizione che ti posto davanti saranno giunte su dite cosi che tu possa riflettervi nel tuo cuore tra le nazioni tra le quali l’Eterno tuo Dio ti ha sospinto, ritornerai all’Eterno tuo Dio …” (Devarìm, 30: 1-2). In questi versetti l’Eterno promette che alla fine dei giorni Israele farà teshuvà. La teshuvà serve a cambiare la persona che, rigenerandosi, riceve dall’Eterno la possibilità di iniziare una nuova vita da una tabula rasa.

    R. Menachem ‘Azarià Da Fano (Fano, 1548-1620, Mantova) nella sua opera ‘Asarà Maamaròt (Chakòr Din, II, cap. 11) afferma che i gentili hanno le sette mitzvòt date ai figli di Nòach. Non hanno però la mitzvà della teshuvà.

    Solo un popolo che sa rigenerarsi con la teshuvà può sopravvivere per tanti secoli.  

    R. Ya’akòv Emden Ashkenazi (Altona, 1697-1776 ) nell’introduzione al suo siddùr, afferma che la sopravvivenza del popolo d’Israele durante i secoli è il più grande miracolo della storia, un miracolo ancora più grande del passaggio del Mar Rosso.

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