“Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza” chiedeva Alessandro Manzoni nella nota poesia “Il 5 maggio” in riferimento a Napoleone Bonaparte. Eppure la “sentenza” ancora non è stata ben definita, tanto che dall’inizio dell’anno in Francia si discute dell’opportunità o meno di celebrare il bicentenario della morte di Napoleone che ricorre il prossimo 5 maggio. Da una parte, gli sono stati rivolti epiteti come misogino, schiavista, genocida, icona del suprematismo bianco; dall’altra, viene considerato un paladino dei diritti, dell’Europa contemporanea, dei valori risorgimentali. La decisione finale di Emmanuel Macron è stata di voler celebrare l’anniversario, ma le diverse tesi continuano a contrapporsi. Un dibattito che coinvolge anche il mondo ebraico, che con Napoleone ha vissuto il passaggio di un’epoca. “Le valutazioni su Napoleone sono molteplici e non possono prescindere da una distinzione tra un approccio generale e una visione ebraico-centrica”riferisce a Shalom Riccardo Calimani, storico dell’ebraismo italiano ed europeo. Il punto di partenza che suggerisce è che non si possa estrapolare nessun personaggio dal proprio contesto storico. “Napoleone è stato tanto un abilissimo condottiero, quanto un personaggio spregiudicato dal punto di vista morale, una dimensione che come ebreo non posso trascurare: in quanto tale, considero i conquistatori, gli uomini soli al comando come pericolosissimi”. Il ragionamento di Calimani si sviluppa tra analisi storica e riflessione morale: propone una valutazione a 360° di Bonaparte e coniuga le diverse vicende con la dimensione ebraica. “Napoleone aveva grandi capacità intellettuali e militari, ma mancava di una forte etica, elemento che dal punto di vista ebraico è molto rilevante nel connotare le doti umane, in particolare proprio l’uomo di governo. Ha cavalcato la retorica della rivoluzione francese e l’ha usata per portare avanti le sue conquiste: irradiava i principi di “Liberté, Égalité, Fraternité” come una forza dirompente nei Paesi governati da regimi opprimenti, ma era un mito di facciata. Con la coscienza critica che si può avere oggi, possiamo contestualizzare meglio i fatti e dare una valutazione meno impulsiva”. Il rapporto su Napoleone e gli ebrei si presenta ricco di spunti. Francis Kalifat, il Presidente eletto del Conseil Représentatif des Institutions juives de France – CRIF, ha dichiarato a Shalom che Napoleone per gli ebrei francesi “resta colui che ha dato loro la possibilità di ottenere i diritti civili, sulla scia delle innovazioni garantite dalla rivoluzione francese. Gli ebrei guardano gli aspetti positivi legati alla loro emancipazione. Senza contare che la Francia vive ancora sulle basi giuridiche impostate da Napoleone”. Effettivamente l’impatto di Napoleone sulla popolazione ebraica francese è stato molto positivo, a partire proprio dal prosieguo che ha garantito al processo di emancipazione avviato con la rivoluzione francese, a cui aggiunge la convocazione del “Grand Sanhédrin” (1806-1807), che rappresenta l’istituzionalizzazione dell’ebraismo nazionale. Ma non solo: grazie al suo intervento, nel 1797, è stato aperto il ghetto di Venezia (la città di Calimani), in vigore dal 1516; inoltre, nella sua campagna in Medio Oriente, proclamò “la Palestina unica nazione degli ebrei che sono stati privati della terra dei loro padri da millenni di bramosia di conquista e di tirannia”, tanto da portare Jacques Attali a definirlo un sionista ante litteram. Ma questi provvedimenti devono comunque essere indagati più a fondo. “L’apertura del ghetto di Venezia e il Sinedrio di Parigi costituiscono due punti sono assai eloquenti – sottolinea Calimani – il primo lo fa apparire come un liberatore, ma l’apertura era semplicemente un effetto collaterale contingente della conquista della Repubblica di Venezia, che cessava la sua esistenza plurisecolare; la convocazione del sinedrio parigino invece era strumentale e serviva per irreggimentare gli ebrei nella sua politica di potenza”. E le presunte posizioni “proto-sioniste”? “Anche le aperture a uno stato ebraico in Palestina lasciano intuire il desiderio di estendere la longa manus della sua influenza: Napoleone non avrebbe fatto nulla se non fosse stato a suo vantaggio. La sua spregiudicatezza lo portava a ragionare solo nell’ottica del successo, sprezzante delle vite altrui, che invece costituiscono un necessario punto di riferimento per l’ebraismo”. Una serie di riflessioni che impongono un approccio distaccato e razionale. Non si possono negare le svolte incentivate da Napoleone, che hanno migliorato la vita degli ebrei di diverse aree europee, ma non vanno neppure dimenticate le contingenze che le hanno favorite: Bonaparte ha garantito una brusca accelerazione nel rompere gli equilibri preesistenti, ma bisogna distinguere un’autentica simpatia da una strumentalizzazione. “Proprio perché non siamo idolatri, non dobbiamo farci abbagliare dal mito – conclude Calimani – È invece opportuno ragionare sul particolare contesto storico in cui Napoleone si è inserito, favorendo pure significativi progressi”.