La scomparsa fisica di Piero Terracina, reduce da Auschwitz, dovrebbe indurre a qualche considerazione di fondo. L’esistenza e la sopravvivenza di qualche superstite ed il fatto che non siano eterni, col conseguente timore che scompaia la memoria, meritano qualche puntualizzazione.
Piero Terracina e la sua famiglia furono arrestati per via della delazione di un fascista in camicia nera, che attese le SS al portone; per cinquemila lire fece sterminare una famiglia intera, tranne Piero, che riuscirà a sopravvivere. Forse chi inneggia ai tempi andati potrebbe farsi un esame di coscienza, perché non vi è dizionario in cui la parola “trasgressivo” equivalga ad “incosciente”.
Come diceva John Maynard Keynes, quando si discorreva dei tempi lunghi: “nei tempi lunghi saremo tutti morti” e, in ciò, la natura umana non pratica sconti.
La presenza di superstiti dei campi di sterminio, che abbiamo conosciuto fin da bambini, con quel terribile numero tatuato, va contestualizzata, perché la maggior parte dell’ebraismo europeo è stata sterminata. I superstiti sono stati una felice ma rara eccezione.
L’ebraismo italiano, che aveva avuto ben due Presidenti del Consiglio e quattro Premi Nobel chiuse con il fascismo ed il nazismo, una sua luminosissima parabola, assieme al resto dell’Italia, i cui successi nel periodo del miracolo economico furono forgiati dalla stessa generazione, ebrei e non ebrei, dei citati Nobel. L’Italia, diciamo, non trovò certo giovamento dalla cacciata degli ebrei, i quali sono spesso, come dice Paul Johnson, il lievito della società.
Al pari dei superstiti, le istituzioni ebraiche hanno impiegato tanti anni per elaborare come meglio potevano un lutto inenarrabile, ma non è detto che il messaggio sia sempre pervenuto nel modo auspicato. L’opinione pubblica palesa una certa insofferenza, che richiederebbe una revisione dei modi di rapportarsi e di narrare, perché si è mostrato il dolore e si sono esposti i crimini, ma si è poco lavorato sul punto principale: le sue ragioni e le sue modalità. Se lo si facesse, ne trarrebbe giovamento non solo l’ebraismo, quanto la società intera.
Il Rabbinato è stato qualche volta oggetto di critiche ingenerose, eppure è da lì che sono scaturiti spesso i dibattiti più fertili e le prese di posizione più meditate. Il suo ascolto costituisce una ricchezza di cui l’ebraismo italiano non può prescindere.
Lo scarto fra storia e preistoria è dato dalla scrittura, termine che racchiude ogni forma di espressione diversa da quella orale. Non è vero, quindi, che la scomparsa dei testimoni possa intaccare la storia, la quale potrebbe trarre nocumento soltanto dalla rinunzia allo studio, al dibattito ed all’approfondimento.
Quanto è stato detto, quanto si dice e quanto si dirà, andrebbe rimeditato. In televisione, vediamo e rivediamo, ascoltiamo e riascoltiamo, questa domanda di una telespettatrice, convogliata da una collaboratrice, che legge al pubblico televisivo e ad una scolaresca il seguente quesito: “come un popolo che è stato tanto perseguitato, il popolo ebraico, può diventare carnefice?”. Quindi, il popolo ebraico sarebbe carnefice, un polo del quale fa parte anche la Comunità ebraica di Roma, tutte le Comunità del mondo, il popolo israeliano. Dicendo ‘popolo’, tutti saremmo carnefici. Con una doppia connotazione: a) la generalizzazione, per cui si sarebbe carnefici per via della sola appartenenza al popolo, b) sarebbe in atto una carneficina posta in essere dal popolo ebraico. Non post sui social media, ma affermazioni che provengono dal salotto buono. E così, chi crede che si possa parlare di Shoà con qualche speranza che il messaggio sia recepito, dovrà porsi degli interrogativi, se non altro per un rispetto non formale ma sostanziale della straordinaria e straziante testimonianza di Piero Terracina.