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    La razza non esiste, ma appare in Costituzione, che fare? Intervista a Giovanni Maria Flick

    Abolire la parola razza dall’articolo 3 della costituzione è una discussione che riemerge di volta in volta. Già dall’inizio la comunità ebraica si è sempre detta contraria all’utilizzo del termine voluto dai padri e dalle madri costituenti. È contenuto nell’articolo 3 insieme ad altri possibili motivi di discriminazione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Shalom ne ha parlato con Giovanni Maria Flick, giurista, politico e accademico italiano, ministro di Grazia e Giustizia del governo Prodi e presidente della Corte costituzionale dal novembre 2008 al febbraio 2009.

     

    Recentemente la senatrice Liliana Segre ha chiesto di cancellare la parola razza dalla Costituzione, la comunità ebraica ha sempre fatto questo appello, Lei cosa ne pensa di questa posizione?

     

    È una questione di cui si discute da parecchio tempo soprattutto dopo che in campo scientifico è emersa l’inesistenza del concetto di “razza umana” dal punto di vista biologico e scientifico. Ma perché mantenere il riferimento alla razza nella Costituzione? È un dibattito valido nel momento in cui si riporta d’attualità il significato estremamente negativo della razza nelle sue strumentalizzazioni per fondare delle discriminazioni. Non so quanto sia utile e opportuno operare una modifica sulle carte fondamentali nelle quali la razza viene richiamata come momento e strumento in cui sono state odiose, pesantissime e inaccettabili le situazioni di strumentalizzazione di questo concetto.

     

    Ma perché la parola razza fu inserita nella Costituzione?

     

    Fu inserita nella Costituzione perché eravamo reduci dall’assurdità di una situazione in cui con le leggi razziali o meglio razziste nel 1938 vi era stato un allineamento al nazismo, ma c’era anche un’anima italiana di razzismo precedente che si manifestò nelle avventure coloniali. Leggi razziste, ghettizzazione degli ebrei, allontanamento di essi dall’istruzione e dalla cultura per arrivare all’acme di questa allucinante stortura con la Shoah a cui l’Italia ha dato il suo contributo in vari modi, ad esempio con il campo di concentramento e smistamento di Fossoli da cui partivano i treni per i campi di sterminio, e con la Risiera di San Saba a Trieste come modello italiano di campo di sterminio.

     

    Recentemente, il governatore della Lombardia Attilio Fontana ha citato presunti timori per “la razza bianca” e a difesa dell’utilizzo della parola “razza” ha detto che è citata nella Costituzione…

     

    Il problema non è il riferimento a un concetto privo di significati scientifici; è il significato che si attribuisce a quel concetto per fondare delle discriminazioni o per invocare antistorici e sconvolgenti richiami alla necessità di una tutela di una “razza”. Che facciamo ci mettiamo ad evocare la tutela della “razza” pellerossa sterminata dai soldati americani? O la tutela di una presunta e inesistente “razza” bianca perché la razza “umana” è unica (come sottolineò Einstein nel modulo per entrare negli Stati Uniti rifiutando il nazismo)? Non so cosa abbia detto il governatore della Lombardia, ma all’inizio del terzo millennio un appello alla tutela della razza bianca mi pare antiscientifico, antistorico, anticulturale e ben poco attuale, oltre che contrario alla Costituzione.

     

    È possibile dal punto di vista giuridico cancellare la parola “razza” dalla Costituzione visto che l’articolo 3 fa parte dei principi fondamentali e con che iter, quello dell’articolo 138?

     

    Tutto è possibile, purché non si cambino i princìpi costituzionali. La Costituzione non è immutabile, non è come la statua di Garibaldi. C’è una procedura di modifica più complicata, rispetto alle leggi ordinarie (maggioranze qualificate e doppia votazione) proprio per sottolinearne l’importanza. C’è la possibilità di modificare l’articolo 3. Ma questo tipo di uguaglianza sostanziale della nostra Costituzione, al pari della libertà, del pluralismo, della solidarietà, è stato affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ed è presente in molte costituzioni, nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1966 contro la discriminazione, ratificata anche se tardi dall’Italia, e nella Carta dei Diritti dell’Unione Europea. È un principio fondamentale. La razza non può costituire in alcun modo motivo di discriminazione e differenziazione. Questo non vuole dire che si debba cancellarla dalla Costituzione, ove è stata inserita proprio per ricordare le atrocità e le discriminazioni compiute in suo nome, appellandosi fra l’altro ad un concetto scientificamente inesistente.

    Altra cosa è vietare l’uso, tuttora troppo ricorrente, di questa espressione nel linguaggio burocratico, per un senso di civiltà e per il significato che quell’uso potrebbe per qualcuno esprimere, di “normalità” anziché di esecrazione; e ciò ancor più in un contesto di odio, di violenza, di discriminazione.

    Cosa teme se si cancellasse dalla Costituzione la parola razza? 

     

    Temo la confusione. Sono sempre perplesso dell’idea di cambiare la nostra carta fondamentale perché non sempre le esperienze di cambiamento della Costituzione in questi 70 anni sono approdate a risultati positivi. Penso al tentativo del referendum costituzionale del 2016; penso alla maldestra riforma del 2001 che comporta ancora tanti problemi aperti nei rapporti tra Stato e Regioni. Ma poi c’è un tema di carattere specifico: il rischio di ritenere che siccome la razza è stata tolta dalla Costituzione, adesso se ne possa discutere. Non vorrei che la razza venisse presa come pretesto per discriminazioni, di difesa di certe categorie o di stigmatizzazioni come è avvenuto con la Shoah o con i Pogrom, con lo sterminio di un popolo in nome della razza. Il togliere il termine razza dalla Costituzione, ove esso esprime la nefandezza della sua strumentalizzazione, potrebbe essere interpretato come una sorta di via libera a riutilizzarlo per la discriminazione: il genocidio in Ruanda, a poca distanza dalla “civilissima” Europa ne è una delle tante testimonianze. In sostanza si finirebbe per alimentare una confusione già troppo presente in questa materia nel nostro ordinamento.

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