Padova è una piccola ma ricca città italiana, che nasconde tra i suoi vicoli stretti una vera gemma: Il Museo della Padova Ebraica. Una realtà museale che rappresenta una vera e propria risorsa culturale all’interno della suggestiva Padova. Il museo è collocato nella caratteristica cornice dell’ex ghetto, situato in pieno centro storico, per la precisione, nell’antica Sinagoga tedesca, sinagoga che venne bruciata durante il periodo della Shoah e successivamente ricostruita. Un luogo che punta la sua attenzione alla tradizione e alla cultura ebraica, che da secoli affonda le sue radici nella storia della città. Annesso al museo, anche un monumentale cimitero ebraico, sito che attrae turisti da tutto il mondo. Una realtà culturale con un potenziale fortissimo. La prova tangibile, che in una comunità non sono i numeri a fare la differenza, bensì il senso d’identità. Tanti i nomi importanti della cultura ebraica che sono passati per Padova, da David Luzzatto, a Yehuda Mintz fino ad arrivare a Giacomo Levi Civita, sindaco della città e senatore del regno d’Italia. Grandi esempi d’integrazione e figure di spicco dell’ebraismo italiano. Shalom ha intervistato Gina Cavalieri, direttrice del museo, che ha condiviso storie e riflessioni su questa piccola grande comunità.
Come nasce la storia della “Padova ebraica”?
Le prime testimonianze degli ebrei presenti a Padova risale al 1200. Gli ebrei vivevano bene a Padova, era un luogo molto inclusivo per la comunità, di conseguenza hanno cominciato ad arrivare parecchi altri ebrei. Possiamo vantare di aver avuto un rappresentante della comunità che è stato senatore della repubblica. Del resto a Padova c’è stata la prima scuola rabbinica, un polo culturale e religioso che richiamava molti giovani. Di conseguenza la comunità per molto tempo è stata attiva, ed è cresciuta negli anni. Purtroppo, agli inizi del 900 molte persone si sono spostate, in città più grandi spesso in cerca di lavoro, essendo Padova una realtà rurale. Naturalmente con le persecuzioni razziali la comunità ha cominciato a perdere molto. Rovigo, ad esempio, una comunità molto vicina a Padova, aveva una fiorente comunità ebraica, che a causa della Shoah oggi non esiste più. Tuttavia, dopo la Shoah però la comunità ha provato a rialzarsi. Oggi la comunità conta su un numero esiguo di persone, nonostante ciò, è una comunità molto attiva. I volontari aiutano moltissimo durante gli eventi, c’è molta voglia di far conoscere la nostra storia ebraica. Siamo una comunità piccola, coesa e che difende con le unghie e con i denti la propria identità ebraica, a dispetto dei numeri.
Come avete vissuto, in quanto realtà sociale, il periodo acuto della pandemia? Ma soprattutto come procede la ripresa oggi?
Come tutti credo, è stato un disastro. Una situazione che ha senza dubbio colpito la cultura. Al dramma delle chiusure, a causa della pandemia, nel nostro caso, è sopraggiunto un ulteriore problema. Il museo dalla sua nascita è sempre stato della comunità ebraica locale, ma veniva gestito da Coopculture, una cooperativa che gestisce anche il Colosseo. All’inizio del 2020 ci hanno comunicato che ci avrebbero lasciato perché erano in perdita da un po’ di tempo. Appresa la notizia, per noi è stato un trauma, ma abbiamo deciso di provare a gestirlo autonomamente. Senza dubbi è stata una sfida pazzesca, se a questo aggiungiamo che poco tempo dopo abbiamo dovuto affrontare una chiusura, per la comunità tutto ciò non è stato facile sotto ogni punto di vista, specialmente economicamente. Il lockdown ha fermato un po’ tutto mentre era ancora in divenire. Adesso stiamo ripartendo, ed io non vorrei essere troppo ottimista, ma se la cosa continuerà ad andar bene potremo ritenerci soddisfatti del nostro lavoro. Ad oggi, lavoriamo soprattutto la domenica, sebbene siamo parti altri giorni durante la settimana, perché fortunatamente c’è molto interesse da parte dei fruitori. La gente ha voglia di girare, di vedere ed esplorare.
Quanto valore sociale ha il museo all’interno della città di Padova?
Molto direi, moltissimo. Non voglio sminuire la bellezza della collezione, ma sicuramente all’interno della città siamo ormai conosciuti come un punto di riferimento culturale. La nostra storia attrae molti visitatori, locali specialmente e molti turisti esteri. Lavoriamo leggermente meno con gli italiani, ma stiamo cercando di pensare ad una strategia per questo.
Quali sono i progetti del museo per il futuro?
Al momento stiamo lavorando su progetti futuri. Sicuramente già avere l’onore di essere città capofila per la giornata europea della cultura ci darà la possibilità di far conoscere il nostro patrimonio storico artistico. Abbiamo appena fatto una bellissima mostra, che purtroppo è stata chiusa subito a causa della pandemia, una mostra su una parte delle Channukiot di Casale Monferrato. Abbiamo potuto fare una grande inaugurazione ad ottobre, alla presenza del vescovo, del sindaco e di tutte le autorità padovane. La mostra in parte era all’interno del museo e in parte nei luoghi simbolo di Padova. Una presso il comune, una all’università, una alla basilica del santo. Era una mostra che voleva sottolineare la collaborazione con la diocesi e con la città. C’è anche un gruppo di lavoro ebraico-cristiano con cui organizziamo moltissime attività. Vorremmo fare una mostra fotografica su Gerusalemme in futuro, stiamo cercando di organizzarci. Da luglio abbiamo inoltre costituito la “Fondazione per il Museo della Padova Ebraica”, che avrà ora una ragione sociale autonoma; contiamo che questo ci possa aiutare nel partecipare a progetti pubblici e farci conoscere ad un pubblico sempre più vasto.