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    La memoria storica della breccia di Porta Pia: tra riscatti ed illusioni. Un articolo del rabbino Di Segni su Repubblica

    Il quotidiano La Repubblica ha pubblicato ieri un intervento del rabbino capo di Roma, Rav Riccardo Di Segni, in occasione delle celebrazioni per il 150mo anniversario della breccia di Porta Pia, avvenuta il 20 settembre 1870, celebrazioni che quest’anno – come ha ricordato Rav Di  Segni – non hanno visto la partecipazione istituzionalmente degli ebrei perché la data coincideva con il Rosh haShanà, il capodanno religioso ebraico. 

    “Eppure – scrive il rabbino Di Segni – tra i pochi a conservare una memoria positiva di quell’avvenimento sono proprio gli ebrei, e specialmente gil ebrei romani, per i quali l’ingresso del regio esercito a Roma significò la fine della soggezione di secoli al dominio papale, che li teneva ancora chiusi nel ghetto con tutta una serie di limitazioni e umiliazioni”. 

    Rispetto agli altri ebrei italiani cittadini del Regno, che avevano ottenuto l’emancipazione e i diritti di cittadinanza con lo Statuto Albertino del 1848, gli ebrei sudditi del Regno Pontificio vivevano ancora in una condizione di discriminazione e di non uguaglianza.

    “Non fu un caso – scrive Di Segni – che il compito (ingrato o ambito, dipende dai punti di vista) di aprire a cannonate la breccia sulle mura fu affidato (tra gli altri) a un ebreo piemontese, Giacomo Segre, capitano di artiglieria, che non temeva la minaccia di scomunica. La storia di questo ufficiale e della sua famiglia è emblematica di quello che capitò agli ebrei italiani prima e dopo Porta Pia”.

    Di Segni ricorda infatti che nelle vicende della famiglia Segre è racchiusa la storia drammatica degli ebrei italiani che fedeli sudditi e soldati del Regno saranno poi perseguitati con le Leggi razziali. “Lo stesso Stato che aveva demolito i ghetti, privava gli ebrei dei diritti elementari. Una bella lezione contro gli entusiasmi per un sistema, un progetto politico, una dinastia”. “Per gli ebrei romani e italiani – la caduta delle mura del ghetto di Roma, ricorda Di Segni – fu comunque un evento decisivo, che aprì una stagione di piena integrazione, ma di breve durata, perché ancora prima ancora del fascismo, la presenza di pochi ebrei illustri nelle stanze del potere (da Luigi Luzzatti a Ernesto Nathan) entrò in conflitto con i politici-cattolici; ognuno di questi personaggi aveva un rapporto molto personale con le sue origini, ma altri non omettevano di farglielo pesare; è un capitolo di storia ancora poco studiato”.

    “L’importanza del 20 Settembre – conclude Di Segni – rimane in ogni caso e gli ebrei come sempre assolvono al compito del mantenimento della memoria cercando, con fatica, di evitare le derive retoriche; ma non vorrebbero essere delegati e lasciati quasi soli a custodire un patrimonio comune di valori civili e di storia nazionale”.

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