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    IL GIORNO DELLA MEMORIA E IL NON DETTO

    Franz Kafka, ebbe a tratteggiare l’anomia, che poi si specchierà, quando lui non ci sarà più, nello scivoloso Führerprinzip quale fonte di diritto, confermandone la giustezza della visione. Di Kafka discorrerà poi Borges; ne “La lotteria in Babilonia”, Borges scrive: “Molte volte, il sapere di certe felicità che erano semplice fattura del caso, avrebbe potuto diminuirne l’efficacia; per evitare quest’inconveniente, gli agenti della Compagnia usavano di suggestioni e della magia. I loro passi, i loro maneggi, erano segreti. Per scoprire le intime speranze e gli intimi terrori di ciascuno, disponevano di astrologi e di spie. V’erano certi leoni di pietra, v’era una latrina segreta chiamata Qaphqa, v’erano certe crepe in un acquedotto polveroso che, secondo l’opinione generale, arrivano alla Compagnia; gente maligna o benevola depositava delazioni in questi luoghi. Un archivio alfabetico raccoglieva queste informazioni di varia attendibilità”.

    Borges, però, ammirava Franz Kafka: nel sito del Borges Center dell’Università di Pittsburgh si legge:” Though the pseudo-Arabic transliteration of this word gives it a Middle Eastern ring, commensurate with its setting in Babylon, it is clearly an allusion to Franz Kafka (1883- 1924). Borges admired Kafka and openly acknowledged his influence on the story ‘The Lottery of Babel’. In an essay entitled ‘Kafka and his Precursors’ he pays tribute to the Czech writer, saying that he influenced not only those who wrote after him but also those who came before him, by awakening in his readers an awareness of the obsessive quality of certain works of literature which pre-dated his own…”

    René De Costa ha scritto “El Humor en Borges”, eppure il gigante argentino non è un umorista; in ogni caso, De Costa ritiene “funny” sia Borges che Kafka.

    Anni or sono, sulla tomba di Kafka trovammo un biglietto in italiano firmato da  una coppia dove si leggeva “non avevi bisogno di studiare legge”; eppure, aveva scritto “Il Processo” e forse, studiando il giure, avrà avuto modo di esaminare le fattispecie astratte che prevedono la condotta degli umani.

    Non sarà un caso che sull’argomento della memoria si citi Borges; talvolta e seguendo un diffuso malcostume, senza citare la fonte d’ispirazione, costituita da Tzvetan Todorov, Gli abusi della memoria. Per Todorov, la memoria sarebbe minacciata non tanto dalla cancellazione delle informazioni, quanto dalla loro sovrabbondanza; gli Stati democratici condurrebbero la loro popolazione verso la stessa meta dei regimi totalitari, cioè al regno della barbarie. L’autore cita “Funes il memorioso” un racconto del 1942 di Jorge Luis Borges su un immaginario uruguagio di Fray Bentos: “Aveva imparato senza fatica l’inglese, il francese, il portoghese, il latino. Sospetto, tuttavia, che non fosse molto capace di pensare. Nel mondo brulicante di Funes non c’erano che dettagli, quasi immediati”. (In realtà, Borges era anche una sorta di Funes; China Zorrilla, attrice uruguagia, ricordava quando, dopo essersi infilata al tavolo di Borges, al Club di Golf di Montevideo, costui le recitò a memoria pagine de La Leyenda Patria, del nonno Juan Zorrilla de San Martín).

    Invece, per Todorov, la memoria è per forza una selezione, il computer non ha memoria perché non seleziona. La riscoperta del passato differirebbe dall’utilizzazione: si fanno emergere nomi, date, circostanze, ma come poi si utilizzeranno i dati è un evento successivo e diverso; la memoria è detronizzata non a favore dell’oblio, ma di certi principi universali e dalla “volontà generale”. Si può dire lo stesso per l’ambito giuridico nel suo insieme. Per l’autore, la cultura sarebbe essenzialmente una questione di memoria: è la conoscenza di un certo numero di codici di comportamento e della capacità di servirsene. Tuttavia, la riscoperta del passato è indispensabile; ciò non vuol dire che il passato debba regolare il presente, è quest’ultimo, al contrario, che fa del passato l’uso che vuole. Nel mondo moderno, il culto della memoria non sempre è al servizio delle cause buone e non bisogna meravigliarsene. Todorov sostiene che l’incomparabilità della Shoah è, a sua volta, speculare all’incomparabilità di ogni altro evento. 

    L’avventura della vita è, al contempo, dura durissima ma paradossale e mestamente amena. Racconta Hanna Arendt (Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil,1963che Adolf Eichmann aveva affidato una cassetta contenente dei valori (denaro e monete d’oro) al suo consigliere fidato, il Regierungsrat Hunsche, considerando che dopo la Guerra qualcuno avrebbe potuto chiedergliene contocome se la sua colpa potesse essere non il genocidio ma il peculato; anche le ultime sue parole, con le quali assicurava che non avrebbe mai dimenticato Argentina, Austria e Germania, dimostravano che, per lui, i morti potevano avere una memoria.

    Pensando a quanto accade in questi tempi, ipotizzo che si possa dire che la differenza fra letteratura e cronaca risiede nella prevalenza dell’esposizione da una parte e nell’importanza del non detto nell’altra; per il resto, sono uguali. Nel libro di David Lodge “Small World: an Academic Romance”, dall’edizione francese, (Un tout Petit Monde, prefazione di Umberto Eco,” Paris, 1992, p. 385), vi è questo dialogo: ‘Mi scusi signorina, ma questa è la settima conferenza alla quale lei assiste ma il suo bloc notes è sempre vergine. È possibile che io non abbia mai detto una parola degna di nota?’ E sapete cosa ha detto? ‘Professor Tardieu, non è ciò che avete detto che mi ha colpito di più, bensì quel che avete tenuto per voi: idee, moralità, amore, morte e tutto il resto. Questo bloc notes’ – disse mentre indicava le pagine in bianco – ‘registra tutti i vostri silenzi.’  

    Ecco perché nel  Giorno della Memoria, dovremmo por mente al detto (specie all’odio squallido che sgorga dal web) ma, soprattutto, al non detto.

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