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    I silenzi di Pio XII e gli ebrei battezzati. Intervista allo storico David Kertzer

    Con l’apertura degli archivi vaticani su Pio XII, lo storico e studioso David Kertzer ha studiato migliaia di documenti sul comportamento della chiesa e del pontefice nel periodo delle persecuzioni nazifasciste. Dal suo lungo e approfondito studio è nato il libro “Un Papa in guerra. La storia segreta di Mussolini, Hitler e Pio XII”, una fitta cronaca di eventi e avvenimenti che arricchisce con documenti sino ad ora sconosciuti o quasi, quanto sapevamo sulla politica della chiesa di quegli anni. In particolare Kertzer si è soffermato più volte nella ricostruzione di ciò che avvenne con le deportazioni e ciò che la chiesa scelse di fare, o di non fare, dall’alba del 16 ottobre 1943. Shalom lo ha intervistato.

     

    Professor Kertzer, con l’apertura degli archivi vaticani su Pio XII, lei ha studiato centinaia e centinaia di pagine di documenti. Quali sono le novità rilevanti degli ultimi anni rispetto alla deportazione degli ebrei romani e al 16 ottobre 1943?

    A questo punto posso dire che ho già letto decine di migliaia di pagine dei documenti dagli archivi di Pio XII per gli anni che vanno dal 1939 al 1945, con un focus specifico sulle leggi razziali e poi sulla guerra e la Shoah. Per quanto riguarda il 16 ottobre 1943 ci sono delle novità in senso stretto, ma anche alcune puntualizzazioni circa avvenimenti già noti che favoriscono una migliore comprensione del contesto dei rapporti fra Pio XII e gli occupanti tedeschi a Roma e che ci aiutano a capire meglio la sua (in)azione in quei terribili giorni dal 16 al 18 ottobre quando il treno con oltre mille ebrei romani è partito per Auschwitz.  

    Sapevamo già dai documenti pubblicati dal Vaticano anni fa, per incarico di Papa Paolo VI Montini, da una commissione di quattro gesuiti (Actes et Documents du Saint-Siège pendant la Seconde Guerre Mondiale) dell’incontro il pomeriggio del 16 ottobre fra il Segretario di Stato del Vaticano, Cardinale Luigi Maglione, e l’ambasciatore tedesco alla Santa Sede, Ernst von Weizsäcker. Il cardinale aveva convocato l’ambasciatore per dire che “È doloroso per il Santo Padre, doloroso oltre ogni dire che proprio a Roma…siano fatte soffrire tante persone unicamente perché appartengono ad una stirpe determinata”. Nel rispondere l’ambasciatore aveva detto che durante tutti gli anni della guerra aveva ammirato l’abilità della Santa Sede di mantenere sempre “un perfetto equilibrio”, e aveva poi aggiunto che l’ordine per la razzia era arrivato “da altissimo luogo”, cioè direttamente da Hitler. Poi ha chiesto se il cardinale gli voleva comunicare una protesta al suo governo. Il cardinale Segretario di Stato aveva allora risposto di no, dicendo (e questo risulta dal resoconto scritto dal cardinale) “Volevo ricordargli che la Santa Sede è stata, come egli stesso ha rilevato, tanto prudente per non dare al popolo germanico l’impressione di aver fatto o voler fare contro la Germania la minima cosa durante una guerra terribile”.

    Sappiamo che il Papa fu informato della razzia molto presto quella stessa mattina del 16 ottobre e sappiamo anche che Pio XII non poteva non conoscere il destino che attendeva gli ebrei rastrellati. Scopriamo ora dagli archivi del pontificato pacelliano di recente apertura che il 17 ottobre, quando gli ebrei catturati erano ancora prigionieri nel Collegio Militare, nei pressi proprio del Vaticano, il Papa aveva ricevuto una lettera urgente inviata da un gruppo di ebrei romani che erano sfuggiti alla cattura e che lo pregavano di intervenire.

    Il pontefice ricevette poi anche un’altra lettera quel giorno da parte di un’anziana donna ebrea prigioniera proprio nel Collegio Militare che, in circostanze non chiare, era riuscita a spedirgliela: anche lei supplicava disperatamente il suo intervento.

    Ma quello che risulta chiaro dagli archivi vaticani oggi è che, nonostante queste e numerose altre informazioni analoghe, l’azione della Santa Sede in quelle ore cruciali si focalizzò sulla notizia che fra gli ebrei catturati c’erano molti ebrei battezzati e su costoro si concentrarono tutti gli sforzi del Vaticano per ottenerne la liberazione.

     

    Spesso si parla degli sforzi della chiesa di salvare gli ebrei dalle deportazioni. I canali ufficiali del Vaticano si mobilitarono in questo senso? Se si, per chi lo fecero?

    La deportazione degli ebrei italiani continuò per tutto il tempo che i militari tedeschi rimasero nel paese, in stretta collaborazione con le forze della Repubblica Sociale Italiana, cioè con forze italiane. Sappiamo anche che senza la partecipazione degli italiani, non avrebbe avuto il “successo” che ebbe. Un momento chiave, oltre il 16 ottobre, fu sei settimane dopo, il 30 novembre, quando il governo di Mussolini promulgò l’ordine di arrestare tutti gli ebrei presenti in Italia e spedirli in campi di concentramento, da cui sarebbero poi deportati verso i campi di sterminio. Sappiamo dai documenti trovati negli archivi vaticani che un consigliere importante del Papa aveva suggerito una protesta all’ambasciatore tedesco ma che poi questo suggerimento era stato, come da prassi, inviato, per un parere, al prelato che in Segreteria di Stato era considerato da tempo il consigliere chiave per tutte le questioni che riguardavano gli ebrei. Questo prelato era mons. Angelo Dell’Acqua, futuro cardinale vicario di Roma. Nel suo promemoria, pieno di linguaggio antisemitico, ha criticato il consiglio dato e ha detto che non si doveva protestare il rastrellamento degli ebrei al governo tedesco. Questo documento, che ritengo fondamentale, non è stato pubblicato nelle migliaia di pagine che compongono i citati Actes et Documents. E questo non è l’unico caso di omissione, parziale o integrale, di documentazione centrale soprattutto per la comprensione dell’atteggiamento della Santa Sede in merito alla questione ebraica: è quindi chiaro, dall’analisi delle carte degli archivi vaticani del pontificato di Pio XII che la famosa commissione dei gesuiti che preparò gli Actes e Documents operò una significativa censura rispetto agli originali che si trovò a maneggiare. E dai confronti che sto facendo in questi anni di ricerca, mi sembra anche questa sia una notizia importante, di cui occorre necessariamente tenere conto.

    Dal Collegio Militare, prima della deportazione verso Auschwitz, furono salvate alcune persone. Chi erano e perché furono salvate?

    Questo è infatti un aspetto di questa triste storia che si capisce meglio proprio grazie all’apertura degli archivi vaticani. Il 16 ottobre i tedeschi catturarono circa 1259 persone, portate poi al Collegio Militare. Ma sappiamo che solo poco più di mille furono messe sul treno per Auschwitz due giorni dopo. Chi erano quelle quasi 250 persone rilasciate? Sembra dalla documentazione vaticana che si tratti in buona parte di ebrei battezzati e anche ebrei sposati con donne cattoliche che avevano bambini battezzati. Descrivo qualche caso di questo tipo nel mio libro recente, Un Papa in guerra. E aggiungo che il 17 ottobre Monsignor Montini (futuro Papa Paolo VI, ma in quell’epoca Sostituto nella Segreteria di Stato) poté spedire un suo assistente al Collegio Militare. Nel suo rapporto sulla triste condizione dei confinati aveva scritto: “Sembra…che vi si trovano anche persone già battezzate, cresimate e unite con matrimonio canonico”. Il Vaticano fece tutto ciò che poté per informare i tedeschi di questi casi. Quelli confinati che potevano, anche con l’aiuto del Vaticano, confermare il loro status di convertiti o di sposati canonicamente con cattoliche furono liberati. A testimonianza di questi sforzi, nei giorni successivi molte lettere di ringraziamento arrivarono al Vaticano da queste persone.

     

    Come dimostrano alcuni suoi interessanti scritti, in Europa ci furono casi di conversioni di bambini anche durante la Shoah. Cosa sappiamo di questo fenomeno in Italia?

    Per quanto riguarda la conversione di bambini che hanno trovato rifugio presso istituti cattolici, sappiamo che c’erano molte conversioni, ma non sappiamo ancora quante furono.  Anche negli archivi vaticani si legge di gruppi interi di fratelli battezzati nei conventi di Roma. Poi, come ho documentato in un saggio già pubblicato, c’è il caso famoso dei due orfani francesi della Shoah, i fratelli Finaly, nascosti per vari anni dopo la guerra, spediti da un convento ad un altro per evitare il ritorno alla famiglia ebraica. Grazie all’apertura degli archivi vaticani per il periodo del pontificato di Pio XII (che, come sappiamo, arrivò fino al 1958) possiamo finalmente verificare il ruolo fondamentale giocato dal Vaticano in questa vicenda e come nella sua gestione venne seguito il medesimo principio adottato nel celebre caso ottocentesco di Edgardo Mortara, ovvero che gli ebrei battezzati non potessero tornare alle famiglie d’origine.

     

    La domanda che ci si pone da 80 anni è la seguente: il Papa avrebbe potuto fare di più per salvare o aiutare gli ebrei?

    Ho scritto Il Papa in guerra in parte per spiegare perché il pontefice agì come sappiamo durante la guerra. Non si può capire la Shoah senza inserirla nel suo corretto contesto storico. In questo senso occorre avere presente che negli anni Trenta molti paesi d’Europa, compresa l’Italia, promulgarono leggi contro gli ebrei, e su questo in genere le Chiese cattoliche nazionali offrirono il loro sostegno. Non solo: anche in Italia per giustificare la persecuzione antiebraica, i governi richiamavano continuamente l’esempio recente del potere temporale della Chiesa nella gestione delle minoranze ebraiche, escluse, relegate in ghetti, private di diritti fondamentali e continuamente perseguitate per il loro stigma di deicidi, perfidi e corruttori, tollerati solo in virtù di una loro possibile e ricercata conversione alla vera fede, attraverso il battesimo. Il secolare pregiudizio antiebraico permeava la società cattolica a vari livelli (curia, clero, fedeli), come testimonierà, negli anni subito successivi alla fine della guerra, sulla questione della preghiera del Venerdì Santo e sulla “giudaica perfidia”. Inoltre, non dimentichiamo che coloro che materialmente sterminarono i sei milioni di ebrei non si consideravano, se non in minima parte, pagani: si consideravano, e a tutti gli effetti erano, cristiani. Per me, è questo il contesto in cui bisogna capire il significato del silenzio del Papa durante la Shoah.

    Per quanto riguarda la Shoah in Italia e, nello specifico, il rastrellamento del 16 ottobre 1943, il fatto che il Papa non protestò contro l’arresto, la deportazione e il massacro dei mille ebrei romani mi sembra davvero scioccante. Nessuna protesta da parte del Papa nemmeno nei mesi successivi, quando nuovi rastrellamenti portarono alla cattura di un altro migliaio di ebrei, deportati anch’essi da Roma. E non va dimenticato che la riuscita del lavoro dei tedeschi di individuazione degli ebrei nascosti nell’Italia occupata dipendeva dalla collaborazione attiva degli italiani cattolici: anche in questo caso, silenzio da parte del Papa. Inoltre, sempre per comprendere adeguatamente il contesto storico, bisogna anche tenere a mente che, fino alla caduta di Mussolini nel luglio 1943, con lo sbarco delle truppe alleate in Sicilia, la Chiesa italiana diede il suo pieno sostegno alla guerra dell’Asse, come ho scritto nel mio ultimo libro e in un saggio successivo scritto con Roberto Benedetti (David I. Kertzer and Roberto Benedetti, “Italian Catholic Press Support for the Axis War,” Journal of Modern Italian Studies 25:5:469-507, 2020). Per me questa rimane una responsabilità non solo del Papa e del Vaticano, ma anche della Chiesa italiana più in generale e a vari livelli: una responsabilità molto pesante e un’eredità con la quale ancora oggi è difficile fare pienamente i conti.

     

    Da una lettera del ‘42 recentemente trovata da Giovanni Coco, archivista e ricercatore all’Archivio Apostolico Vaticano e pubblicata da La lettura, sembra che Pio XII fosse a conoscenza dello sterminio in atto. In questa missiva il gesuita Lothar König scrive a Robert Leiber, segretario di Pio XII, dell’uccisione di massa degli ebrei e dei polacchi per mano nazista. Cosa ne pensa? Si tratta davvero di una rivelazione?

    Il ritrovamento della lettera scritta dal gesuita tedesco, spedita al segretario, anch’esso tedesco e gesuita, di Pio XII nel dicembre 1942, mi sembra una notizia importante, ma non clamorosa.  Sapevamo già dagli archivi vaticani aperti tre anni fa che il papa ha ricevuto vari rapporti da fonti affidabili della Chiesa sul tentativo da parte dei nazisti di sterminare gli ebrei di Europa.  Sappiamo anche che quando, nell’autunno del 1942, il Presidente Roosevelt ha chiesto al papa se avesse ricevuto rapporti che potevano confermare quelli da loro ricevuti sulla campagna nazista, ha risposto di no, anche sapendo che non era così.  Per me, le novità di questa lettera sono due:  1) È un’indicazione che già nel 1942 Pio XII sapeva dei crematori nei campi di sterminio 2) Il fatto che questo documento è stato presentato da un archivista dell’Archivio Apostolico Vaticano, mi sembra un buon segno che ci sia nel Vaticano una volontà di confrontarsi in modo franco con questa storia difficile del papa e la Shoah.

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