Perché un libro sulla preghiera ebraica? Non è
questa una forma di linguaggio che sfugge ogni analisi? Si può parlare di
spiritualità nell’ebraismo? E se la risposta è sì, come si sviluppa? A queste e
altre domande tenta di risponde il libro di Haim. F. Cipriani “Schiudi le mie
labbra, le vie della preghiera ebraica” edito da Giuntina. É grazie al
compimento delle mitsvot, al costante studio della Torà e alla preghiera
stessa, da considerare anch’essa forma di studio, che la spiritualità
progredisce. Quali siano gli scopi della preghiera ebraica e come questa è
strutturata viene chiarito successivamente. Cipriani precisa: “Questo libro è
un percorso antologico attraverso i principali testi della tradizione ebraica,
il cui scopo è quello di preparare la persona all’incontro con la Trascendenza
attraverso un excursus fra i concetti filosofici ed etici”. La preghiera
ebraica però consta almeno di altri due aspetti: la dimensione introspettiva,
delineata dalla stessa parola ebraica pregare, leitpalel, che in ebraico
è riflessiva e che letteralmente significa: divenire se stessi preghiera
oppure, autogiudicarsi. Accanto a spiegazioni di carattere filologico se ne
hanno altre di carattere storico: il siddùr, libro delle preghiere, ha subìto
diversi cambiamenti strutturali a partire dall’epoca in cui la preghiera
ebraica è nata, ovvero tra il periodo del Secondo Tempio e quello talmudico.
Modificazioni che hanno toccato non solo i movimenti ebraici progressisti del
XVIII secolo, per cui alcune parti erano ormai desuete, ma anche alcuni gruppi
ortodossi che si interrogavano sulla liceità di un ipotetico ritorno ai
sacrifici. “Schiudi le mie labbra” è un libro chiaro e organico che fornisce ai
più curiosi la possibilità di orientarsi nel mondo, spesso vago, della
preghiera. Ciò che emerge da queste pagine è l’attenzione verso la tradizione
che si accompagna alla capacità di guardare alla stessa con sguardo lucido e
disincantato, mettendone in discussione alcuni aspetti.