Settant’anni fa moriva Alcide De Gasperi, precisamente il 19 agosto 1954. Molti sono gli articoli commemorativi di questi giorni in cui si ricorda anche che sullo statista democristiano è in corso una causa di beatificazione in Vaticano, ormai ferma da oltre un decennio. Ma nuove nubi si addensano sul primo Capo di Stato dell’Italia repubblicana e primo Presidente del Consiglio. Un libro dello storico milanese Augusto Sartorelli, “L’antisemitismo di Alcide De Gasperi tra Austria e Italia, edizioni Clinamen” descrive gli anni giovanili a Vienna dove il giovane studente italiano abbraccia le tesi del controverso e antisemita borgomastro Karl Lueger che “combatteva gli ebrei artificiosamente identificati con la borghesia capitalista”. De Gasperi fu grande ammiratore di Lueger — spiega Sartorelli — che di lui disse: “Era il campione cristiano che liberò Vienna dal giogo degli Ebrei”. In un articolo su “Il Domani d’Italia”, il 15 maggio 1902, De Gasperi scrive che “in Austria dal 1860 al 1885 circa spadroneggiava il liberalismo in tutte le sue forme. Alla testa della corrente liberale stava la nazione ebrea, Vienna e l’Austria erano completamente sotto il giogo degli ebrei. Giornalisti si presentavano come l’indiscutibile opinione pubblica; industriali tenevano gli operai cristiani in condizione di schiavi; commercianti facevano coi grandi bazar una spietata concorrenza ai piccoli negozianti indigeni; banchieri affamavano alla borsa dei cereali la classe dei contadini, e nei teatri e nelle scuole il loro spirito talmudico rovinava completamente la morale pubblica”. Parole che non lasciano dubbi su come De Gasperi etichettasse gli ebrei il male del mondo.
Ma da dove nasce tutto questo odio del futuro statista? È presto detto. Alcide De Gasperi nasce a Pieve Tesino, Borgo Valsugana, in Trentino, il 3 aprile del 1881 da una famiglia di umili origini di stretta osservanza cattolica. E Trento è il luogo dove, durante la Pasqua del 1475, viene ritrovato un bambino morto, Simonino e dove, a causa delle predicazioni del frate francescano Bernardo da Feltre, al quale ancora oggi è intestata una piazza vicino a viale Trastevere, il vescovo principe Johannes Hinderbach sostiene con forza la tesi che il bimbo sia stato vittima di un omicidio rituale, la famosa accusa del sangue, perpetrato dalla locale comunità ebraica. La storia ha il tragico epilogo nella condanna a morte, con confessioni estorte grazie alla tortura, di quindici ebrei, il più giovane di 15 anni, il più vecchio di 90 anni.
“Il bambino – ricorda Sartorelli – da subito considerato un martire, era diventato oggetto di un culto destinato a durare per quasi cinque secoli”. Un culto che lo stesso De Gasperi difendeva. Come scrive Antonio Polito nel suo libro “Il costruttore – Le cinque lezioni di De Gasperi”, “nel 1903, un giovane avvocato liberale trentino, Giuseppe Menestrina (studente in Giurisprudenza a Graz poi avvocato ndr) amico e compagno di scuola di De Gasperi, diede alle stampe uno studio che smontava completamente le false accuse e che fu però accolto molto male dalla curia trentina. In quell’occasione Alcide difese invece il culto, provocando una dolorosa ma radicale rottura dell’amicizia con Menestrina, che gli tolse il saluto per 15 anni”.
Si potrebbe dire, tesi di un giovane che si deve ancora formare, ma passiamo al 1938. De Gasperi è ormai un politico navigato, ha 57 anni, dapprima deputato del partito popolare di Don Sturzo, poi arrestato dai fascisti, rilasciato grazie all’intermediazione del vescovo di Trento Celestino Endrici, lavora dal 1929 alla Biblioteca Vaticana. Dopo la pubblicazione del Manifesto della Razza del 1938, la Chiesa ribadisce l’incompatibilità del razzismo con la dottrina cattolica. Sul numero 16 del 16-31 agosto dell’Illustrazione Vaticana, De Gasperi scrive che le tesi del Manifesto della razza “si distinguono nettamente dalle dottrine più conosciute dei razzisti tedeschi, “discriminare non significa perseguitare” e che “il governo fascista non ha nessun piano persecutorio contro gli ebrei”, ma penserebbe soltanto a una specie di “numero chiuso” alle professioni. De Gasperi conclude augurandosi che “il razzismo italiano si attui in provvedimenti concreti di difesa e di valorizzazione della nazione ed è da credere che l’elemento universalista contenuto nel fascismo può nutrirsi delle vive tradizioni della Roma cristiana che gli offrono il modo di conciliare, è il caso di dire ‘romanamente’, la fierezza del popolo con la sua gentile umanità”. Una posizione a dir poco ambigua.
Ritroviamo Alcide De Gasperi nelle memorie di Ada Sereni, moglie dell’eroe Enzo Sereni, artefice dell’emigrazione ebraica in Israele dal 1945 al 1948 che descrive ne “I clandestini del Mare”, ed. Mursia, la cosiddetta Aliyah Beth. “Giunsero pure molti telegrammi di solidarietà – scrive Ada Sereni – primo fra tutti quello del presidente del consiglio italiano Alcide De Gasperi” per la vicenda delle navi Fede e Fenice bloccate al porto di La Spezia durante la Pasqua ebraica del 1946 e che darà luogo alla vicenda dell’Exodus. Ma più interessante è l’incontro che Ada Sereni ha con De Gasperi nel 1948 all’indomani delle prime elezioni politiche della repubblica vinte dalla Democrazia Cristiana. Fino a quel momento, la nazione è stata guidata da un governo di unità nazionale sempre da De Gasperi, tra i quali figurava anche il cognato di Ada, Emilio Sereni fratello di Enzo, ministro dei lavori pubblici e appartenente al Pci.
Il voto Onu di novembre sancisce la nascita dello Stato ebraico che si prepara alla guerra già annunciata dalle nazioni arabe. Ada Sereni ha necessità di trasportare armi nella Palestina mandataria prima della dipartita dei britannici prevista il 15 maggio del 1948. “In quelle settimane di passione – scrive Ada Sereni – mi fu detto chiaramente, anche dai nostri più fervidi sostenitori, che solo se De Gasperi avesse approvato saremmo stati aiutati a far transitare i difficili carichi. De Gasperi non ci volle ricevere a Roma, ma ci fissò l’appuntamento a Trento (anche qui si potrebbe presagire una scorrettezza ma la materia era delicata). Per venticinque minuti, De Gasperi mi mise sotto un fuoco di fila di domande ben centrate. Infine, concluse: ‘quello che chiedete è praticamente il nostro aiuto a farvi vincere la guerra in Palestina. Qual è l’interesse dell’Italia alla vostra vittoria?’ La mia risposta fu pronta. Primo: l’Italia non ha nessun interesse ad essere circondata da paesi arabi troppo forti. Secondo: sono tre anni che ci aiutate a far defluire dall’Italia i profughi; se perderemo la guerra in Palestina ci sarà un riflusso di masse di profughi; per ragioni geografiche la maggior parte arriverà in Italia: che interesse avete a riprenderli? De Gasperi rimase un attimo silenzioso e disse: ‘allora cosa possiamo fare per voi?’ Chiudere un occhio e possibilmente due sulle nostre attività in Italia. ‘Va bene’, disse alzandosi”. Verrebbe da dire più spaventato dalla prospettiva che l’Italia potesse essere invasa dai profughi ebrei.
“Sul tema degli ebrei – prosegue invece Sartorelli sul suo libro – la voce di De Gasperi sembrò forse riaffiorare nel 1945 dopo la caduta del governo Parri. Nel corso di una conversazione con lo statista democristiano per la formazione del nuovo governo, Pietro Nenni, accennando all’avversione dei liberali e dei democristiani per il Partito d’Azione, annota nel suo diario che ‘De Gasperi ha parlato dello spirito semitico dei Professori del Partito d’azione’. Un’affermazione che sembra essere congruente con il pensiero del primo De Gasperi, quello del Trentino asburgico”. Il partito d’Azione era nato nel 1942 sulle ceneri di Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli e di cui faceva parte nel 1945 Vittorio Foa.
Assolve parzialmente De Gasperi, Antonio Polito. “Vale la pena ricordare che solo nel 1965, undici anni dopo la sua morte – scrive il giornalista nel suo libro sullo statista – l’arcivescovo di Trento Alessandro Maria Gottardi decise finalmente la soppressione del culto e la rimozione della salma del piccolo Simonino dalla chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Trento”. E che proprio in quell’anno chiudeva il Concilio Vaticano II con il documento Nostra Aetate che toglieva dopo due millenni l’accusa di deicidio nei confronti degli ebrei.
Viene da chiedersi allora: fu De Gasperi un uomo del suo tempo, antisemita perché lo era la Chiesa dell’epoca come si chiede lo stesso Sartorelli? Probabilmente è anche così, ma purtroppo troppi dubbi restano.