Cercare di comprendere le ragioni di queste ore straordinarie, segnate dal distanziamento sociale, e di capire la portata e le conseguenze di questa pandemia, devono essere l’occasione per la collettività, ma anche per ciascun singolo, per una riflessione ed analisi dei comportamenti. È questo il tema centrale di una lettera del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che oggi viene pubblicata su Il Messaggero, il quotidiano della capitale. “L’esperienza storica ebraica – scrive il rabbino capo – è ricca di storie di epidemie, a cominciare dalla Bibbia, e insieme alle storie abbondano le prescrizioni e le interpretazioni”.
In questo momento tutti si interrogano, si domandano su come difendersi dal contagio, propongono soluzioni per dare un senso all’uso del tempo che trascorriamo in casa. “C’è però – scrive Di Segni – un argomento non tanto banale sul quale l’ebraismo propone di riflettere. Ed è il tema del senso, del significato di quello che sta succedendo”.
Il pensiero razionale, il progresso tecnologico, i successi della scienza e della medicina, sembrano vacillare davanti all’inarrestabile diffusione del morbo che “fa vacillare ogni nostra certezza” e in attesa di un farmaco e di un vaccino “siamo sostanzialmente indifesi e l’unica difesa reale, che oggi viene applicata su scala di massa, è purtroppo solo quella dell’isolamento, con un salto indietro della medicina al medioevo”.
In questa condizione, in cui alcuni vengono colpiti e altri no, alcuni muoiono e altri sopravvivono, “non basta dire che si tratta del caso. Perché anche il caso (o il caos, e questo oggi lo sappiamo meglio) ha le sue leggi; e il caso non significa negazione o mancanza di dimensione religiosa. Anche il caso ha la sua spiegazione filosofica (dai tempi di Aristotele) o teologica (con Maimonide e prima e dopo).
L’incapacità della moderna tecnologia a contrastare il virus “rappresenta tutta la nostra fragilità” e “la pretesa di escludere altre dimensioni interpretative è scorretta”. “Per questo – scrive Di Segni – la ricetta religiosa tradizionale ebraica (e non solo) per queste circostanze, dopo l’ordine di seguire le prescrizioni mediche, si basa su tre punti: la solidarietà sociale (perché altri esseri umani sono più a rischio di noi), la preghiera (perché non si esaurisce tutto nella prospettiva umana) e la revisione del proprio comportamento. Che forse è la cosa più difficile da fare. In una situazione passata in cui un rabbino aveva ricordato questi tre doveri, un suo fedele gli disse che non sapeva proprio di cosa dovesse pentirsi. E il rabbino gli rispose che era proprio di questo che doveva pentirsi: dell’incapacità di comprendere che nessuno di noi è perfetto”.