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    Commento alla Torà. Parashà di Vayakhèl-Pekudè: la forza spirituale eresse il Mishkàn

    Alla fine della costruzione del Mishkàn [il tabernacolo mobile nel deserto]  è scritto: “Così fu finito tutto il lavoro del Mishkàn, la tenda della radunanza. Gli Israeliti eseguirono ogni cosa come l’Eterno aveva ordinato a Moshè: così essi fecero. Portarono dunque a Moshè il Mishkàn, la tenda e tutti i suoi accessori…” (Shemòt, 39:32-33).  

    Nel Midràsh (Shemòt Rabbà, 24:3) i maestri affermano: “Vi erano tanti esperti e non erano capaci di erigerlo. Cosa fecero? Ognuno portò parte del lavoro che aveva fatto e si presentò a Moshè. Gli dissero: qui sono le assi, qui sono le sbarre. Immediatamente scese su di lui lo spirito di profezia e lo eresse”.

    R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 196) scrive che per erigere il Mishkàn non bastava la sapienza ma era necessario anche l’aiuto del Cielo (Siyatà Dishmayà). Solo quando scese su Moshè “Rùach ha-Kòdesh” (spirito profetico), essi furono in grado di erigere il Mishkàn. Inoltre dal versetto che dice che essi portarono il Mishkàn a Mosè impariamo che solo coloro che seguivano gli insegnamenti di Moshè potevano costruire il Mishkàn.  

    R. Avraham Kroll (Lodz, 1912-1983, Gerusalemme) in Bepikudèkha Asìcha (p. 202) si chiede per quale motivo quando gli israeliti completarono la costruzione delle componenti del Mishkàn le portarono a Moshè. Quando si vuole costruire una struttura si va da un ingegnere e non da un rabbino!  Egli risponde che essi sapevano cosa fare con le componenti che avevano costruito per erigere il Mishkàn. Quello che non sapevano, e per questo avevano bisogno di rivolgersi a Moshè, era come far sì che dopo averlo costruito, il Mishkàn fosse adatto ad accogliere la Shechinà, la presenza divina. Una cosa simile avvenne quando re Salomone completò la costruzione del Bet Ha-Mikdàsh a Gerusalemme sul monte Morià. Quando ebbe costruito il Bet Ha-Mikdàsh, l’Eterno parlò a Salomone in visione profetica e gli disse: “Riguardo alla casa che stai edificando, se camminerai secondo le mie leggi, se eseguirai le mie norme e osserverai tutti i miei comandi, camminando in essi, io confermerò a tuo favore la mia parola, quella che ho annunciato a Davide tuo padre. Io abiterò in mezzo agli Israeliti; non abbandonerò il mio popolo Israele” (1,Re, 6:12-13).

    R. Kroll osserva che l’espressione avrebbe dovuto essere “che hai edificato” e non “che stai edificando”. Da qui si impara che anche se l’opera di edificazione fisica è completa, è necessario il contributo spirituale della kedushà.  

    Nei Tehillìm (libro dei Salmi, 127: 1, traduzione di R. Lelio della Torre, 1845) è scritto: “Cantico dei gradini, per Salomone. Se l’Eterno non edifica la casa, invano i suoi edificatori vi s’adoprano; se l’Eterno non guarda la città, invan veglia custode”.

    R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900) nel suo commento ai Tehillìm scrive: “Poiché Salomone riuscì a costruire il Bet Ha-Mikdàsh, disse che se non vi è L’Eterno che costruisce la casa,  la rende perfetta e la fa stare in piedi, tutto il lavoro è stato fatto invano e così pure la difesa della città contro i nemici è invano senza la protezione divina”.

    Il Bet Ha-Mikdàsh fu distrutto perché la kedushà, la forza spirituale che lo sosteneva si era involata a causa dei peccati del popolo d’Israele e verrà ricostruito grazie alla teshuvà.  Ed è il  Maimonide che nelle Hilkhòt Teshuvà (7:5), scrive: “Israele verrà redento solo grazie alla teshuvà e la Torà ha promesso che Israele fara teshuvà alla fine del loro esilio e la redenzione sarà immediata”.

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