In questa parashà vengono specificati i vestimenti del Kohèn Gadòl: “Un pettorale (chòshen), un dorsale (efòd), un manto (me’ìl), una tunica trapunta (ketonèt tashbètz), un turbante (mitznèfet) e una cintura (avnèt)” (Shemòt, 28:4). Oltre a questi sei capi di vestiario, il Kohèn Gadòl aveva anche i pantaloni di lino (mikhnesè bad) come gli altri Kohanìm (ibid, 28:42) e “Una lamina d’oro puro (Tzitz Zahàv) sulla quale inciderai, come sopra un sigillo, [le parole] «Kòdesh all’Eterno»” (ibid., 28:36) che veniva posta sulla fronte.
Il dorsale (efòd) era fatto a maglia con una composizione di fili d’oro (zahàv), azzurro (tekhèlet), porpora (argamàn), scarlatto (tola’àt shanì) e lino ritorto (shesh) ed era una specie di grembiule largo come le spalle di un uomo. Dalla parte superiore, all’altezza della vita, usciva ai due lati una fascia anch’essa fatta a maglia che si legava di fronte. Dalla parte della schiena salivano una a destra e l’altra a sinistra, due larghe bretelle (ketefòt) dello stesso materiale che arrivavano fino alle spalle e scendevano di poco di fronte. Vi erano due catene d’oro legate a due anelli del pettorale (chòshen). In questo modo il pettorale pendeva dalle catene dell’efòd. Nella parte inferiore del pettorale alle estremità vi erano due anelli che si collegavano con un filo di lana di tekhèlet agli anelli che salivano di fronte dalla fascia dell’efòd (commento di Rashì, Shemòt, 28:6).
Il pettorale (chòshen) era di dimensioni di una spanna quadrata, fatta di fili d’oro, azzurro, porpora, scarlatto e lino ritorto, nel quale erano incastonate dodici pietre preziose. In ognuna vi erano incisi i nomi di una delle tribù e, insieme ad altre lettere con i nomi dei patriarchi, vi erano tutte le lettere dell’alfabeto. Nel pettorale erano inseriti gli Urìm e Tummìm: “… che saranno così sul petto di Aharòn quando si presenterà davanti all’Eterno. Egli recherà costantemente sul suo cuore il giudizio dei figli d’Israele innanzi all’Eterno” (ibid, 28:30).
Cos’erano gli Urìm e Tummìm? Il Nachmanide (Girona, 1193-1270, Acco) e Rashì (Troyes, 1040-1105) affermano si trattava di una pergamena con la scritta del Tetragramma. Nella Mishnà Yomà (71b) è scritto che il Kohèn che aveva gli Urìm e Tummìm veniva consultato solo su richiesta “del Re, del Bet Din e di persone delle quali il pubblico aveva bisogno”. Rashì spiega che quando veniva posta una domanda, il Re (o il decano del Bet Din) si piazzava di fronte al Kohèn, e il Kohèn guardava in basso sul pettorale nel quale vi erano gli Urìm e Tummìm. Il richiedente chiedeva: “Inseguirò quelle truppe? E il Kohèn guardava il chòshen e vedendo le lettere che risaltavano, rispondeva: “Inseguile e abbia successo”. R. ‘Ovadià da Bertinoro (Bertinoro,1445-1515, Gerusalemme) commenta che grazie allo spirito profetico il Kohèn sapeva come combinare le lettere che risaltavano e capire il significato del messaggio.
R. David Meldola (Livorno, 1703-1793, Amsterdam) in Darkè David, basandosi sui commenti di Rashì, scrive che per ottenere risposte grazie agli Urìm e Tummìm non era necessario rivolgersi al Kohèn Gadòl. Era però necessario un Kohèn dotato di spirito profetico. Infatti David pose quesiti a Evyatàr (I, Shemuèl, 23:2-6) e a Tzadòk quando nessuno dei due era Kohèn Gadòl. Entrambi diedero risposta a David vestendo solo un efòd di lino e un chòshen simili a quelli che aveva fatto Moshè. Quando la domanda veniva posta al Kohèn Gadòl egli invece doveva avere tutti gli otto vestimenti. Inoltre vi erano più Urìm e Tummìm, come dimostrato dal fatto che mentre Evyatàr era con David, re Shaùl prima della battaglia del Monte Ghilboa’ contro i Filistei, si era rivolto a un Kohèn che era presso di lui con altri Urìm e Tummìm. Gli Urìm e Tummìm furono usati solo durante il primo Bet Ha-Mikdàsh.