Così come il problema dell’immigrazione non sarebbe potuto essere razionalmente risolto con la sola taumaturgica parolina “accoglienza”, nemmeno la questione ebraica potrebbe ora essere risolta con l’altrettanto magica parolina “memoria”. Sennonché, così come andando avanti si è visto che ridicolizzando l’immigrato crescevano i consensi, anche pronunciando la parola “memoria” si riscuotono tanti consensi. Peccato che non se ne sia chiesti il perché. Ridicolizzare l’immigrato è molto più facile che regolamentare l’immigrazione, magari applicando la c.d. direttiva ritorno /rimpatri (Direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), sulla quale fui l’unico a scrivere e ancora mi domando il perché (La direttiva ritorno e gli immigrati – Finiscono le sanatorie, Italia Oggi, 1 ottobre 2009).
La memoria riscuote anch’essa grande successo perché è fin troppo agevole comportarsi bene con chi non è con noi, anziché affrontare le sfide odierne, provocando una valanga di problemi con chi rivendica il sacrosanto diritto di continuare a diffamare gli ebrei. La Francia, pur avendo problemi molto più gravi dei nostri, per note ragioni, e pur essendo un Paese dal quale gli ebrei iniziano a scappare, ha incorporato nel suo ordinamento e nella sua giurisprudenza un paio di innovazioni che qui non si vogliono adottare e che, seguendo una consolidata prassi culturale, tutti ignoriamo, fingendo di cadere da nobili alberi come il pero oppure dalle liriche nuvole.
Per fortuna in Italia, fra tanta confusione, vi è il Rabbinato, dove un autorevole esponente rileva come “lo scenario della Meghillà, non è purtroppo molto diverso da quello di oggi in cui nell’Italia ebraica vi sono più Musei dell’ebraismo che Scuole ebraiche. Quando si vive un ebraismo sempre più ridotto a cerimonie di rappresentanza di fronte a poteri politici che non aspettano altro che sdoganare la “normalizzazione ” degli ebrei, si rischia di trasformare la nostra Tradizione in una reliquia del passato”.
Forse i figli – si spera – un giorno ci domanderanno perché non abbiano dedicato a loro, sul piano politico, un millesimo dell’attenzione rivolta a chi non può più essere aiutato. Perché la storia non si è fermata al 1945, la storia non ci attende e così come gli storici (ad esempio, Gabriele Rigano oppure Alessandra Tarquini) passano al setaccio il passato, facendo emergere quanto è accaduto (nel caso de “La sinistra e gli ebrei” della Tarquini, dal 1892 al 1992) qualcuno farà altrettanto sul 2020. Non nutriamo grandi curiosità su ciò che scriveranno, addirittura potremmo farlo noi, fra un caffè e l’altro.